Marconi
ideò un raggio che fermava i mezzi a motore. Mussolini lo voleva, il
Vaticano lo bloccò. Da quelle ricerche altri scienziati crearono
l’alternativa a petrolio e nucleare. Nel 1999 l’invenzione stava per
essere messa sul mercato, ma poi tutto fu insabbiato.
L’energia
pulita tanto auspicata dal presidente Obama dopo il disastro ambientale
del Golfo del Messico forse esiste già da un pezzo, ma qualcuno la
tiene nascosta per inconfessabili interessi economici. Ma non solo.
Negli anni Settanta, infatti, un gruppo di scienziati italiani ne
avrebbe scoperto il segreto, ma questa nuova e stupefacente tecnologia,
che di fatto cambierebbe l’economia mondiale archiviando per sempre i
rischi del petrolio e del nucleare, sarebbe stata volutamente occultata
nella cassaforte di una misteriosa fondazione religiosa con sede nel
Liechtenstein, dove si troverebbe tuttora. Sembra davvero la trama di un
giallo internazionale l’incredibile storia che si nasconde dietro
quella che, senza alcun dubbio, si potrebbe definire la scoperta epocale
per eccellenza, e cioè la produzione di energia pulita senza alcuna
emissione di radiazioni dannose. In altre parole, la realizzazione di un
macchinario in grado di dissolvere la materia, intendendo con questa
definizione qualunque tipo di sostanza fisica, producendo solo ed
esclusivamente calore.
UNA SCOPERTA PER CASO
Come
ogni giallo che si rispetti, l’intricata vicenda che si nasconde dietro
la genesi di questa scoperta è stata svelata quasi per caso. Lo ha
fatto un imprenditore genovese che una decina d’anni fa si è trovato ad
avere rapporti di affari con la fondazione che nasconde e gestisce il
segreto di quello che, per semplicità, chiameremo “il raggio della
morte”. E sì, perché la storia che stiamo per svelare nasce proprio da
quello che, durante il fascismo, fu il mito per eccellenza: l’arma
segreta che avrebbe rivoluzionato il corso della seconda guerra
mondiale. Sembrava soltanto una fantasia, ma non lo era. In quegli anni
si diceva che persino Guglielmo Marconi stesse lavorando alla
realizzazione del “raggio della morte”. La cosa era solo parzialmente
vera. Secondo quanto Mussolini disse al giornalista Ivanoe Fossati
durante una delle sue ultime interviste, Marconi inventò un apparecchio
che emetteva un raggio elettromagnetico in grado di bloccare qualunque
motore dotato di impianto elettrico. Tale raggio, inoltre, mandava in
corto circuito l’impianto stesso, provocandone l’incendio. Lo scienziato
dette una dimostrazione, alla presenza del duce del fascismo, ad
Acilia, sulla strada di Ostia, quando bloccò auto e camion che
transitavano sulla strada. A Orbetello, invece, riuscì a incendiare due
aerei che si trovavano ad oltre due chilometri di distanza. Tuttavia,
dice sempre Mussolini, Marconi si fece prendere dagli scrupoli
religiosi. Non voleva essere ricordato dai posteri come colui che aveva
provocato la morte di migliaia di persone, bensì solo come l’inventore
della radio. Per cui si confidò con papa Pio XI, il quale gli consigliò
di distruggere il progetto della sua invenzione. Cosa che Marconi si
affretto a fare, mandando in bestia Mussolini e gerarchi. Poi, forse per
il troppo stress che aveva accumulato in quella disputa, nel 1937
improvvisamente venne colpito da un infarto e morì a soli 63 anni.
La fine degli anni Trenta fu comunque molto prolifica da un punto di
vista scientifico. Per qualche imperscrutabile gioco del destino, pare
che la fantasia e la creatività degli italiani non fu soltanto
all’origine della prima bomba nucleare realizzata negli Stati Uniti da
Enrico Fermi e da i suoi colleghi di via Panisperna; altri scienziati,
continuando gli studi sulla scissione dell’atomo, trovarono infatti il
modo di “produrre ed emettere sino a notevoli distanze anti-atomi di
qualsiasi elemento esistente sul nostro pianeta che, diretti contro una
massa costituita da atomi della stessa natura ma di segno opposto, la
disgregano ionizzandola senza provocare alcuna reazione nucleare, ma
producendo egualmente una enorme quantità di energia pulita”.
Tanto per fare un esempio concreto,
ionizzando un grammo di ferro si sviluppa un calore pari a 24 milioni di
KWh, cioè oltre 20 miliardi di calorie, capaci di evaporare 40 milioni
di litri d’acqua. Per ottenere un uguale numero di calorie, occorrerebbe
bruciare 15mila barili di petrolio. Sembra quasi di leggere un racconto
di fantascienza, ma è soltanto la pura e semplice realtà. Almeno quella
che i documenti in possesso dell’imprenditore genovese Enrico M.
Remondini dimostrano.
LA TESTIMONIANZA
“Tutto
è cominciato – racconta Remondini – dal contatto che nel 1999 ho avuto
con il dottor Renato Leonardi, direttore della Fondazione Internazionale
Pace e Crescita, con sede a Vaduz, capitale del Liechtenstein. Il mio
compito era quello di stipulare contratti per lo smaltimento di rifiuti
solidi tramite le Centrali Termoeletriche Polivalenti della Fondazione
Internazionale Pace e Crescita. Non mi hanno detto dove queste centrali
si trovassero, ma so per certo che esistono. Altrimenti non avrebbero
fatto un contratto con
me. In quel periodo, lavoravo con il mio collega, dottor Claudio
Barbarisi. Per ogni contratto stipulato, la nostra percentuale sarebbe
stata del 2 per cento. Tuttavia, per una clausola imposta dalla
Fondazione stessa, il 10 per cento di questa commissione doveva essere
destinata a favore di aiuti umanitari. Considerando che lo smaltimento
di questi rifiuti avveniva in un modo pressoché perfetto, cioè con la
ionizzazione della materia senza produzione di alcuna scoria, sembrava
davvero il modo ottimale per ottenere il risultato voluto. Tuttavia,
improvvisamente, e senza comunicarci il perché, la Fondazione ci fece
sapere che le loro centrali non sarebbero più state operative. E fu
inutile chiedere spiegazioni. Pur avendo un contratto firmato in tasca,
non ci fu nulla da fare. Semplicemente chiusero i contatti”.
Remondini
ancora oggi non conosce la ragione dell’improvviso voltafaccia. Ha
provato a telefonare al direttore Leonardi, che tra l’altro vive a
Lugano, ma non ha mai avuto una spiegazione per quello strano
comportamento. Inutili anche le ricerche per vie traverse: l’unica cosa
che è riuscito a sapere è che la Fondazione è stata messa in
liquidazione. Per cui è ipotizzabile che i suoi segreti adesso siano
stati trasferiti ad un’altra società di cui, ovviamente, si ignora
persino il nome. Ciò significa che da qualche parte sulla terra oggi c’è
qualcuno che nasconde il segreto più ambito del mondo: la produzione di
energia pulita ad un costo prossimo allo zero.
Nonostante questo imprevisto risvolto, in mano a Remondini sono rimasti
diversi documenti strettamente riservati della Fondazione Internazionale
Pace e Crescita, per cui alla fine l’imprenditore si è deciso a rendere
pubblico ciò che sa su questa misteriosa istituzione. Per capire i
retroscena di questa tanto mirabolante quanto scientificamente
sconosciuta scoperta, occorre fare un salto indietro nel tempo e cercare
di ricostruire, passo dopo passo, la cronologia dell’invenzione. Ad
aiutarci è la relazione tecnico-scientifica che
il 25 ottobre 1997 la Fondazione Internazionale Pace e Crescita ha
fatto avere soltanto agli addetti ai lavori. Ogni foglio, infatti, è
chiaramente marcato con la scritta “Riproduzione Vietata”. Ma l’enormità
di quanto viene rivelato in quello scritto giustifica ampiamente il non
rispetto della riservatezza richiesta.
Il “raggio della morte”, infatti, pur essendo stato concepito
teoricamente negli anni Trenta, avrebbe trovato la sua base scientifica
soltanto tra il 1958 e il 1960. Il condizionale è d’obbligo in quanto
riportiamo delle notizie scritte, ma non confermate dalla scienza
ufficiale. Non sappiamo da chi era composto il gruppo di scienziati che
diede vita all’esperimento: i nomi non sono elencati. Sappiamo invece
che vi furono diversi tentativi di realizzare una macchina che
corrispondesse al modello teorico progettato, ma soltanto nel 1973 si
arrivò ad avere una strumentazione in grado di “produrre campi
magnetici, gravitazionali ed elettrici interagenti, in modo da colpire
qualsiasi materia, ionizzandola a distanza ed in quantità
predeterminate”.
IL VIA DAL GOVERNO ANDREOTTI
Fu
a quel punto che il governo italiano cominciò ad interessarsi
ufficialmente a quegli esperimenti. E infatti l’allora governo
Andreotti, prima di passare la mano a Mariano Rumor nel luglio del ’73,
incaricò il professor Ezio Clementel, allora presidente del Comitato per
l’energia nucleare (CNEN), di analizzare gli effetti e la natura di
quei campi magnetici a fascio. Clementel, trentino originario di Fai e
titolare della cattedra di Fisica nucleare alla facoltà di Scienze
dell’Università di Bologna, a quel tempo aveva 55 anni ed era uno dei
più noti scienziati del panorama nazionale e internazionale. La sua
responsabilità, in quella circostanza, era grande. Doveva infatti
verificare se quel diabolico raggio avesse realmente la capacità di
distruggere la materia ionizzandola in un’esplosione di calore. Anche
perché non ci voleva molto a capire che, qualora l’esperimento fosse
riuscito, si poteva fare a meno dell’energia nucleare e inaugurare una
nuova stagione energetica non soltanto per l’Italia, ma per il mondo
intero. Tanto per fare un esempio, questa tecnologia avrebbe permesso la
realizzazione di nuovi e potentissimi motori a razzo che avrebbero
letteralmente rivoluzionato la corsa allo spazio, permettendo la
costruzione di gigantesche astronavi interplanetarie.
Il professor Clementel ordinò quindi quattro prove di particolare
complessità. La prima consisteva nel porre una lastra di plexiglas a 20
metri dall’uscita del fascio di raggi, collocare una lastra di acciaio
inox a mezzo metro dietro la lastra di plexiglass e chiedere di
perforare la lastra d’acciaio senza danneggiare quella di plexiglass. La
seconda prova consisteva nel ripetere il primo esperimento, chiedendo
però di perforare la lastra di plexiglass senza alterare la lastra
d’acciaio. Il terzo esame era ancora più difficile: bisognava porre una
serie di lastre d’acciaio a 10, 20 e 40 metri dall’uscita del fascio di
raggi, chiedendo di bucare le lastre a partire dall’ultima, cioè quella
posta a 40 metri. Nella quarta e ultima prova si doveva sistemare una
pesante lastra di alluminio a 50 metri dall’uscita del fascio di raggi,
chiedendo che venisse tagliata parallelamente al lato maggiore.
Ebbene, tutte e quattro le prove ebbero esito positivo e il professor
Clementel, considerando che la durata dell’impulso dei raggi era minore
di 0,1 secondi, valutò la potenza, ipotizzando la vaporizzazione del
metallo, a 40.000 KW e la densità di potenza pari a 4.000 KW per
centimetro quadrato. In realtà, venne spiegato a sperimentazione
compiuta, l’impulso dei raggi aveva avuto la durata di un nano secondo e
poteva ionizzare a distanza “forma e quantità predeterminate di
qualsiasi materia”.
Tra l’altro all’esperimento aveva assistito anche il professor Piero
Pasolini, illustre fisico e amico di un’altra celebrità scientifica qual
è il professor Antonino Zichichi. In una sua relazione, Pasolini parlò
di “campi magnetici, gravitazionali ed elettrici interagenti che
sviluppano atomi di antimateria proiettati e focalizzati in zone di
spazio ben determinate anche al di là di schemi di materiali vari, che
essendo fuori fuoco si manifestano perfettamente trasparenti e del tutto
indenni”.
In pratica, ma qui entriamo in una spiegazione scientifica un po’ più
complessa, gli scienziati italiani che avevano realizzato quel
macchinario, sarebbero riusciti ad applicare la teoria di Einstein sul
campo unificato, e cioè identificare la matrice profonda ed unica di
tutti i campi di interazione, da quello forte (nucleare) a quello
gravitazionale. Altri fisici in tutto il mondo ci avevano provato, ma
senza alcun risultato. Gli italiani, a quanto pare, c’erano riusciti.
L’INSABBIAMENTO
In
un Paese normale (ma tutti sappiamo che il nostro non lo è) una simile
scoperta sarebbe stata subito messa a frutto. Non ci vuole molta
fantasia per capire le implicazioni industriali ed economiche che
avrebbe portato. Anche perché, quella che a prima vista poteva sembrare
un’arma di incredibile potenza, nell’uso civile poteva trasformarsi nel
motore termico di una centrale che, a costi bassissimi, poteva produrre
infinite quantità di energia elettrica.
Perché, dunque, questa scoperta non è stata rivelata e utilizzata? La
ragione non viene spiegata. Tutto quello che sappiamo è che i governi
dell’epoca imposero il segreto sulla sperimentazione e che nessuno,
almeno ufficialmente, ne venne a conoscenza. Del resto nel 1979 il
professor Clementel morì prematuramente e si portò nella tomba il
segreto dei suoi esperimenti. Ma anche dietro Clementel si nasconde una
vicenda piuttosto strana e misteriosa. Pare, infatti, che le sue idee
non piacessero ai governanti dell’epoca. Non si sa esattamente quale
fosse la materia del contendere, ma alla luce della straordinaria
scoperta che aveva verificato, è facile immaginarlo. Forse lo scienziato
voleva rendere pubblica la notizia, mentre i politici non ne volevano
sapere. Chissà? Ebbene, qualcuno trovò il sistema per togliersi di torno
quello scomodo presidente del CNEN. Infatti venne accertato che la
firma di Clementel appariva su registri di esame all’Università di
Trento, della quale all’epoca era il rettore, in una data in cui egli
era in missione altrove. Sembrava quasi un errore, una svista. Ma gli
costò il carcere, la carriera e infine la salute. Lo scienziato capì
l’antifona, e non disse mai più nulla su quel “raggio della morte” che
gli era costato così tanto caro. A Clementel è dedicato il Centro
Ricerche Energia dell’ENEA a Bologna.
C’è comunque da dire che già negli anni Ottanta qualcosa venne fuori
riguardo un ipotetico “raggio della morte”. Il primo a parlarne fu il
giudice Carlo Palermo che dedicò centinaia di pagine al misterioso
congegno, affermando che fu alla base di un intricato traffico d’armi.
La storia coinvolse un ex colonnello del Sifar e del Sid, Massimo
Pugliese, ma anche esponenti del governo americano (allora presieduto da
Gerald Ford), i parlamentari Flaminio Piccoli (Dc) e Loris Fortuna
(Psi), nonché una misteriosa società con sede proprio nel Liechtenstein,
la Traspraesa. La vicenda durò dal 1973 al 1979, quando improvvisamente
calò una cortina di silenzio su tutto quanto.
Erano
comunque anni difficili. L’Italia navigava nel caos. Gli attentati
delle Brigate Rosse erano all’ordine del giorno, la società civile
soffocava nel marasma, i servizi segreti di mezzo mondo operavano sul
nostro territorio nazionale come se fosse una loro riserva di caccia. Il
16 marzo 1978 i brigatisti arrivarono al punto di rapire il Presidente
del Consiglio Nazionale della Dc, Aldo Moro, uccidendo i cinque
poliziotti della scorta in un indimenticabile attentato in via Fani, a
Roma. E tutti ci ricordiamo come andò a finire. Tre anni dopo, il 13
maggio 1981, il terrorista turco Mehmet Alì Agca in piazza San Pietro
ferì a colpi di pistola Giovanni Paolo II.
E’ in questo contesto, che il “raggio della morte” scomparve dalla
scena. Del resto, ammesso che la scoperta avesse avuto una consistenza
reale, chi sarebbe stato in grado di gestire e controllare gli effetti
di una rivoluzione industriale e finanziaria che di fatto avrebbe
cambiato il mondo? Non ci vuole molto, infatti, ad immaginare quanti
interessi quell’invenzione avrebbe danneggiato se soltanto fosse stata
resa pubblica. In pratica, tutte le multinazionali operanti nel campo
del petrolio e dell’energia nucleare avrebbero dovuto chiudere i
battenti o trasformare da un giorno all’altro la loro produzione.
Sarebbe veramente impossibile ipotizzare una cifra per quantificare il
disastro economico che la nuova scoperta italiana avrebbe portato.
Ma queste sono solo ipotesi. Ciò che invece risulta riguarda la
decisione presa dagli autori della scoperta. Infatti, dopo anni di
traversie e inutili tentativi per far riconoscere ufficialmente la loro
invenzione, probabilmente temendo per la loro vita e per il futuro della
loro strumentazione, questi scienziati consegnarono il frutto del loro
lavoro alla Fondazione Internazionale Pace e Crescita, che l’11 aprile
1996 venne costituita apposta, verosimilmente con il diretto appoggio
logistico-finanziario del Vaticano, a Vaduz, ben al di fuori dei confini
italiani. In quel momento il capitale sociale era di appena 30mila
franchi svizzeri (circa 20mila Euro). “Sembra anche a noi – si legge
nella relazione introduttiva alle attività della Fondazione – che sia
meglio costruire anziché distruggere, non importa quanto possa essere
difficile, anche se per farlo occorrono molto più coraggio e pazienza,
assai più fantasia e sacrificio”.
A prescindere dal fatto che non si trova traccia ufficiale di questa
fantomatica Fondazione, se non la notizia (in tedesco) che il primo
luglio del 2002 è stata messa in liquidazione, parrebbe che a suo tempo
l’organizzazione fosse stata costituita in primo luogo per evitare che
un’invenzione di quella portata fosse utilizzata solo per fini militari.
Del resto anche i missili balistici (con quello che costano)
diventerebbero ben poca cosa se gli eserciti potessero disporre di un
macchinario che, per distruggere un obiettivo strategico, necessiterebbe
soltanto di un sistema di puntamento d’arma.
Secondo voci non confermate, la decisione degli scienziati italiani
sarebbe maturata dopo una serie di minacce che avevano ricevuto negli
ambienti della capitale. Ad un certo punto si parla pure di un attentato
con una bomba, sempre a Roma. Si dice che, per evitare ulteriori brutte
sorprese, quegli scienziati si appellarono direttamente a Papa Giovanni
Paolo II e la macchina che produce il “raggio della morte” venisse
nascosta per qualche tempo in Vaticano. Da qui la decisione di istituire
la fondazione e di far emigrare tutti i protagonisti della vicenda nel
più tranquillo Liechtenstein. In queste circostanze, forse non fu un
caso che proprio il 30 marzo 1979 il Papa ricevette in Vaticano il
Consiglio di Presidenza della Società Europea di Fisica, riconoscendo,
per la prima volta nella storia della Chiesa, in Galileo Galilei
(1564-1642) lo scopritore della Logica del Creato. Comunque sia, da quel
momento in poi, la parola d’ordine è stata mantenere il silenzio
assoluto.
LE MACCHINE DEL FUTURO
Qualcosa,
però, nel tempo è cambiata. Lo prova il fatto che la Fondazione
Internazionale Pace e Crescita non si sarebbe limitata a proteggere gli
scienziati cristiani in fuga, ma nel periodo tra il 1996 e il 1999
avrebbe proceduto a realizzare per conto suo diverse complesse
apparecchiature che sfruttano il principio del “raggio della morte”.
Secondo la loro documentazione, infatti, è stata prodotta una serie di
macchinari della linea Zavbo pronti ad essere adibiti per più scopi.
L’elenco comprende le SRSU/TEP (smaltimento dei rifiuti solidi urbani),
SRLO/TEP (smaltimento dei rifiuti liquidi organici), SRTP/TEP
(smaltimento dei rifiuti tossici), SRRZ/TEP (smaltimento delle scorie
radioattive), RCC (compattazione rocce instabili), RCZ (distruzione
rocce pericolose), RCG (scavo gallerie nella roccia), CLS (attuazione
leghe speciali), CEN (produzione energia pulita).
A quest’ultimo riguardo, nella documentazione fornita da Remondini si
trovano anche i piani per costruire centrali termoelettriche per
produrre energia elettrica a bassissimo costo, smaltendo rifiuti. C’è
tutto, dalle dimensioni all’ampiezza del terreno necessario, come si
costruisce la torre di ionizzazione e quante persone devono lavorare (53
unità) nella struttura. Un’ìntera centrale si può fare in 18 mesi e
potrà smaltire fino a 500 metri cubi di rifiuti al giorno, producendo
energia elettrica con due turbine Ansaldo . C’è anche un quadro
economico (in milioni di dollari americani) per calcolare i costi di
costruzione. Nel 1999 si prevedeva che una centrale di questo tipo
sarebbe costata 100milioni di dollari. Una peculiarità di queste
centrali è che il loro aspetto è assolutamente fuorviante. Infatti,
sempre guardando i loro progetti, si nota che all’esterno appaiono
soltanto come un paio di basse palazzine per uffici, circondate da un
ampio giardino con alberi e fiori. La torre di ionizzazione, dove
avviene il processo termico, è infatti completamente interrata per una
profondità di 15 metri. In pratica, un pozzo di spesso cemento armato
completamente occultato alla vista. In altre parole, queste centrali
potrebbero essere ovunque e nessuno ne saprebbe niente.
Da notare che, secondo le ricerche compiute dalla International Company
Profile di Londra, una società del Wilmington Group Pic, leader nel
mondo per le informazioni sul credito e quotata alla Borsa di Londra, la
Fondazione Internazionale Pace e Crescita, fin dal giorno della sua
registrazione a Vaduz, non ha mai compiuto alcun tipo di operazione
finanziaria nel Liechtenstein, né si conosce alcun dettaglio del suo
stato patrimoniale o finanziario, in quanto la legge di quel Paese non
prevede che le Fondazioni presentino pubblicamente i propri bilanci o i
nomi dei propri fondatori. Si conosce l’indirizzo della sede legale, ma
si ignora quale sia stato quello della sede operativa e il tipo di
attività che la Fondazione ha svolto al di fuori dei confini del
Liechtenstein. Ovviamente mistero assoluto su quanto sia accaduto dopo
il primo luglio del 2002 quando, per chissà quali ragioni, ma tutto
lascia supporre che la sicurezza non sia stata estranea alla decisione,
la Fondazione ufficialmente ha chiuso i battenti.
Ancora più strabiliante è l’elenco dei clienti, o presunti tali, fornito
a Remondini. In tutto 24 nomi tra i quali spiccano i maggiori gruppi
siderurgici europei, le amministrazioni di due Regioni italiane e
persino due governi: uno europeo e uno africano. Da notare che, in una
lettera inviata dalla Fondazione a Remondini, si parla di proseguire con
i contatti all’estero, ma non sul territorio nazionale “a causa delle
problematiche in Italia”. Ma di quali “problematiche” si parla? E,
soprattutto, com’è che una scoperta di questo tipo viene utilizzata
quasi sottobanco per realizzare cose egregie (pensiamo soltanto alla
produzione di energia elettrica e allo smaltimento di scorie
radioattive), mentre ufficialmente non se ne sa niente di niente?
Interpellato
sul futuro della scoperta da Remondini, il professor Nereo Bolognani,
eminenza grigia della Fondazione Internazionale Pace e Crescita, ha
detto che “verrà resa nota quando Dio vorrà”. Sarà pure, ma di solito
non è poi così facile conoscere in anticipo le decisioni del Padreterno.
Neppure con la santa e illustre mediazione del Vaticano.
Quale
giornalista professionista che si è occupato di questa incredibile
storia, mi sento in dovere di pubblicare alcuni documenti che possano
provare al lettore l’attendibilità delle notizie che ho esposto. Si
tratta della relazione tecnica di cui sono venuto in possesso. Una
relazione, sia ben chiaro, che non dimostra affatto la realtà di quanto
la Fondazione Internazionale Pace e Crescita asserisce nella sua
documentazione, ma soltanto l’esistenza dei contenuti citati
nell’articolo. E’ chiaro, infatti, che la reale consistenza dei fatti
dovrebbe essere verificata dai fisici e certamente non da un giornalista
la cui responsabilità resta quella di informare nel modo più serio e
professionale possibile.
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INTERVISTA AL TESTIMONE
«Dissero che il segreto non doveva finire nelle mani dei militari»
Enrico
Remondini non è un uomo di molte parole. La sua esperienza con la
Fondazione Internazionale Pace e Crescita, a undici anni di distanza, è
ormai un ricordo tra i risvolti della memoria. Alcuni mesi di lavoro,
vissuti anche con un certo entusiasmo, poi i contatti si sono chiusi
lasciandogli, oltre ad una certa perplessità per il modo in cui sono
stati interrotti, anche un velo di amarezza. Aveva condiviso, ammette, i
fini umanitari della Fondazione; per cui non comprendeva, e non
comprende ancora oggi, il motivo per cui l’operazione non sia stata
portata a termine. Soprattutto, però, gli è rimasta dentro una
fortissima curiosità: quanto c’era di vero in quello che gli avevano
detto?
Signor Remondini, come e quando è entrato in contatto con la Fondazione Internazionale Pace e Crescita?
“Fu
nei primi mesi ndel 1999, mi pare, e in modo del tutto fortuito. Mi
trovavo a Lugano per lavoro e un amico me ne parlò. Non era una notizia
di dominio pubblico, per cui ero incuriosito. In seguito il mio amico mi
fece incontrare il direttore della Fondazione, il dottor Renato
Leonardi, e a lui chiesi se potevo collaborare con loro”.
Non furono dunque loro a cercarla…
“No,
fui io che ne feci richiesta. In un primo tempo pensavo di poter
lavorare nelle pubbliche relazioni, ma ben presto mi resi conto che a
loro non interessava quel settore. Leonardi, invece, mi chiese di fare
alcune traduzioni e, a questo riguardo, mi diede diversi documenti. Gli
stessi che adesso, non esistendo più la Fondazione, ho deciso di rendere
pubblici”.
La sua collaborazione si fermò alle traduzioni?
“No,
successivamente decisi di instaurare un rapporto più imprenditoriale.
Per cui venni presentato al professor Nereo Bolognani, presidente della
Fondazione. Ci incontravamo a Milano, nella hall di un albergo vicino
alla stazione centrale. Fu lui a spiegarmi che le centrali polivalenti
della Fondazione erano in grado di smaltire in modo ottimale un certo
tipo di scorie. Soprattutto di tipo metallico. Per cui, insieme ad un
mio amico, mi feci dare un mandato dalla Fondazione stessa per procurare
questo tipo di scorie. Fu un periodo molto breve, perché riuscimmo a
prendere contatti con uno solo dei nominativi che ci erano stati
forniti. Si trattava di una grossa acciaieria italiana che aveva
problemi per lo smaltimento delle scorie metalliche. Noi ci facemmo
consegnare un campione e lo passammo a Bolognani perché lo facesse
esaminare e ci dicesse se l’affare poteva essere avviato. Ma accadde
qualcosa prima di avere l’esito di quelle analisi…”.
E cioè?
“La
moglie di Bolognani morì di un brutto male e per qualche tempo non
riuscimmo a metterci in contatto con lui. Pensavamo che, dopo un certo
periodo, si sarebbe ripreso e avremmo continuato la normale attività
lavorativa. Ma le cose non andarono così. E’ probabile, direi quasi
certo, che contemporaneamente a quel lutto avvenne anche qualche altro
cambiamento interno alla Fondazione. Comunque sia, nonostante avessimo
un mandato firmato in tasca, non riuscimmo più a metterci in contatto
con loro. Tutto quello che so è che Bolognani, dopo la morte della
moglie, si era trasferito da Roma, dove abitava. Ma ignoro dove. Provai
anche a chiamare Leonardi, a Lugano, ma fu inutile. Una volta riuscii
anche a parlargli, ma era molto evasivo e non volle dirmi nulla. In
seguito venni a sapere che la Fondazione era stata messa in
liquidazione”.
Eppure lei aveva lavorato per loro, avrà avuto anche delle spese. Gliele hanno mai rimborsate?
“No,
e non gliele ho mai chieste. Ripeto, abbiamo preso solo un contatto,
per cui si trattava di poca cosa. Non mi è sembrato che ne valesse la
pena. Tra l’altro, avevo sempre avuto un buon rapporto con loro e non
volevo rovinarlo per così poco”.
Tuttavia
nei suoi confronti non hanno mostrato molta chiarezza. Ha mai provato a
farsi dire qualcosa in più circa la loro attività? Dopotutto, visto che
contattavano industrie ed enti pubblici, non si può dire che il loro
segreto non fosse divulgato…
“Sì,
una volta ho avuto una conversazione di questo tipo con Bolognani. Devo
dire che era una persona molto corretta e molto religiosa. Mi spiegò
che lo scopo della Fondazione era quello di evitare che una scoperta
scientifica come quella che loro gestivano finisse nelle mani dei
militari, diventando causa di morte. Poi aggiunse che un giorno, quando
Dio vorrà, questo segreto verrà reso pubblico”.
E le basta?
“No, però capisco il fine. E per molti versi lo condivido”.
R.D.S.
AI LETTORI
Confucio,
celebre filosofo cinese, diceva che prima di scrivere bisogna sedersi,
raccogliere le idee, rifletterci sopra e quindi pensare a come esporre
il proprio pensiero. Poi, finalmente, si può cominciare a mettere nero
su bianco quanto intendiamo comunicare per iscritto. Ciò vale tanto per i
professionisti della penna, come il sottoscritto, quanto per chiunque
altro. Ma molti, purtroppo, non seguono i saggi consigli di Confucio.
Anzi, si mettono di fronte ad un foglio di carta (o a un video) e tirano
giù qualunque cosa passi loro per la testa. Ne sono un buon esempio
certi lettori del “Giornale” che in questi giorni, dopo aver letto il
mio articolo sull’energia, hanno preso d’assalto il sito Internet del
quotidiano, gridando allo scandalo per quello che avevano letto. Visto
che quanto avevo scritto non corrispondeva a quanto loro sapevano,
semplicemente non poteva essere vero. Ovviamente non tutti sono stati
così avventati, molti altri si sono incuriositi e hanno chiesto
chiarimenti. Ma è ai primi che adesso voglio rivolgermi. Le accuse più
frequenti sono state “scemenze, cazzate, non si possono scrivere cose di
questo tipo, sono tutti si dice”, eccetera. Nessuno
di questi signori si è domandato, invece, perché un autorevole
quotidiano nazionale come “Il Giornale” abbia pubblicato un articolo di
questo tipo. La verità è che tutto quanto è stato detto nell’articolo in
questione, viene da un’ampia documentazione originale della
“misteriosa” Fondazione Internazionale Pace e Crescita di Vaduz, nel
Liechtenstein. Per la precisione da 30 documenti autentici (relazioni
tecnico-scientifiche, piani industriali, relazioni illustrative,
planimetrie), per un totale di 86 pagine. Nessun “si dice” o presunte
illazioni, ma soltanto la fedele trascrizione di quanto è scritto in
quei documenti. Ciò, però, non significa che io, come giornalista, o “Il
Giornale” stesso, abbiamo sposato e avallato quelle notizie. Riportare
dei fatti non vuol dire affatto assumersene la paternità. Siamo cronisti
e, in quanto tali, portiamo a conoscenza dei lettori le notizie che
riteniamo più interessanti e curiose. Ma ci limitiamo a riportarle, non
certo a inventarcele e farle nostre. E il caso della Fondazione, come
chiunque può notare, è davvero strano e insolito. Tanto più che la
Fondazione non è il parto di una fantasia malata, bensì pura realtà.
Mi devo invece scusare per un paio di refusi contenuti nel pezzo. E mi
riferisco a Pio XII invece di Pio XI e alle tre parole che sono saltate
vicino al nome di Moro: la frase giusta era “il Presidente del Consiglio
Nazionale della Dc, Aldo Moro”. Per il resto, tutto era come doveva
essere.
Ovviamente, dopo aver pubblicato questo pezzo, era doveroso sentire
l’altra campana, quella della scienza ufficiale. A questo riguardo, vi
comunico che ho provveduto personalmente a portare la documentazione
scientifica, relativa alla Fondazione Internazionale Pace e Crescita,
all’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare affinché la esamini e ne esprima un giudizio. Quando avrò il risultato, sarà mia premura renderlo pubblico.
Con questo spero di aver dissipato ogni dubbio circa la mia personale
serietà e quella del “Giornale” che ha ospitato l’articolo. “Giornale”,
per inciso, nel quale ho trascorso 26 anni della mia vita professionale e
con il quale continuo ad essere legato con un contratto di
collaborazione in esclusiva.
Se poi ci sarà qualcuno che, nonostante tutto, vorrà continuare a
scrivere sciocchezze nei miei confronti, si accomodi pure. Come dicevano
gli antichi greci, contro la stupidità neanche gli Dei possono nulla.
Figurarsi i giornalisti, compresi quelli che si sforzano di essere
sempre seri e corretti.
R.D.S.
«Così l’Italia lavorò al raggio che crea energia dal nulla»
Alcuni
documenti provano gli esperimenti fatti dallo scienziato Clementel
negli anni 70. Ma ora nessuno può vedere il prodotto di quegli studi
(Il Giornale, Domenica 26 Settembre 2010)
Nell’Inverno
del 1976 il governo italiano autorizzò il professor Ezio Clementel,
presidente del CNEN (Comitato Nazionale per l’Energia Nucleare), ad
effettuare una serie di esperimenti per verificare l’efficacia di una
misteriosa macchina che emetteva un fascio di raggi in grado di
annichilire la materia, producendo grandi quantità di energia. Giulio
Andreotti aveva appena formato il suo terzo governo, un monocolore Dc
che si reggeva sull’astensione di Pci, Psi, Psdi, Pri e Pli, dopo le
elezioni del 20-21 giugno che avevano visto la vittoria di Dc e Pci.
La
lettera con cui il professor Clementel inviava la sua relazione sulle
prove da eseguirsi, è datata 26 novembre 1976 e indirizzata all’avvocato
Loris Fortuna, Presidente della Commissione Industria, presso la Camera
dei Deputati, in piazza del Parlamento 4, a Roma. Il socialista Fortuna
era il deputato incaricato dal Presidente del Consiglio per seguire il
lavoro di Clementel.
La
relazione è composta da cinque facciate. Nella seconda, quella che
segue la lettera di accompagnamento, c’è l’elenco delle cinque prove
richieste dal protocollo, con i relativi dettagli. In sostanza, si
trattava di far forare al fascio di raggi emesso dalla macchina, lastre
di acciaio inox e alluminio poste a diverse distanze dall’obiettivo
della macchina stessa. Nelle tre facciate successive, viene calcolata la
potenza del raggio. In un altro documento di due facciate, il professor
Clementel scrive di suo pugno, siglandole in calce, le sue conclusioni
relative alla valutazione delle prove effettuate, all’energia e alla
potenza del fascio, alla natura del fascio stesso.
Scrive
il professor Clementel: “L’energia del fascio impiegato è stimabile tra
i 150.000 e i 4 milioni di Joule (il joule è l’unità di misura
dell’energia n.d.r.); i numeri dati corrispondono all’energia necessaria
per fondere rispettivamente vaporizzare 144 grammi di acciaio inox. Una
valutazione più precisa sarà forse possibile al termine delle analisi
metallurgiche in corso per uno dei campioni di acciaio inox. Poiché,
come risulta dalle prove, il fascio è quasi certamente di tipo
impulsato, con durata degli impulsi minore di 0,1 secondi, occorrerebbe
una esatta conoscenza di tale durata per poter determinare la potenza
del fascio. Si può comunque dare una stima del limite inferiore della
potenza in gioco, assumendo una durata dell’impulso pari a 0,1 secondi.
Con tale valore, si ha una potenza totale del fascio di 1500 Kw/cmq nel
caso della fusione del metallo; nel caso della vaporizzazione del
metallo la potenza totale del fascio salirebbe a 40.000 Kw e la densità
di potenza a 4000 Kw/cmq”.
IL DOCUMENTO
PROVE?
In
alto, la pagina di presentazione e poi la pagina più importante del
documento che il presidente del Comitato per l’Energia Nucleare, Ezio
Clementel (ritratto nella foto in basso), spedì al presidente del
Consiglio, Giulio Andreotti, per ragguagliarlo circa le prove che erano
state fatte di una macchina che produce energia da un misterioso raggio.
In basso la doppia pagina del Giornale del 6 luglio scorso quando ci
siamo occupati per la prima volta del raggio che dà energia gratis.
Il nostro articolo di quel giorno ha creato molto rumore, soprattutto
su Internet. Con questa puntata raccontiamo gli sviluppi di una storia
che presenta molti lati oscuri e anche per questo è molto affascinante.
E
poi conclude: “Circa la natura, del fascio, le semplici prove
effettuate non consentono una risposta sufficientemente precisa, anche
se vi è qualche indicazione che porterebbe ad escludere alcune fra le
sorgenti più comuni, quali ad esempio getto di plasma, fasci di
particelle cariche accelerate, fasci di neutroni, eccetera. In ogni
caso, anche nell’ipotesi non ancora escludibile di fascio laser, le
energie e soprattutto le potenze in gioco, si porrebbero al di là dei
limiti dell’attuale tecnologia. Si può in ogni caso escludere che si
tratti di fasci di anti-particelle o di anti-atomi”.
Il
professor Clementel fece fare delle riprese di quelle prove sulla
misteriosa macchina e i filmati, insieme alla relazione, sono giunti
integri fino a noi. Nelle scene in bianco e nero si vedono distintamente
la macchina e la lastra di acciaio inox verso cui è diretto il fascio
di raggi. Un attimo e un grande bagliore avvolge l’acciaio; quando le
fiamme si diradano, appare il grosso foro sulla lastra
Il ritrovamento di questa documentazione a 34 anni di distanza, prova
due cose. La prima è che nel 1976 la macchina che produce energia con un
fascio di raggi, esisteva. La seconda è che quegli esperimenti,
autorizzati dal governo, conferiscono un primo grado di attendibilità al
dossier della Fondazione Internazionale Pace e Crescita di Vaduz, nel
Liechtenstein, l’organizzazione che si proclamava proprietaria della
fantastica tecnologia. Ma è proprio così? La Fondazione era realmente il
soggetto che disponeva di questo macchinario? Non proprio.
Per
saperne di più, abbiamo cercato la risposta a Civitella d’Agliano, un
caratteristico borgo medioevale tra le colline di Lazio e Umbria, in
provincia di Viterbo, dove si trova il villino dell’ingegner Aristide
Saleppichi, uno dei primi tecnici a occuparsi della costruzione e dello
sviluppo della misteriosa macchina. Saleppichi, ex direttore dello
stabilimento Montedison di Terni, ha due lauree: una in ingegneria
industriale meccanica e una in fisica. Ma non solo. L’ingegnere, che
oggi ha 91 anni e mantiene una invidiabile e lucidissima mente, fa parte
del gruppo che da quarant’anni gestisce la macchina. Secondo lui, il
fatto che proprio adesso si cominci a parlare del misterioso
macchinario, non è casuale. “Vede, io ho un concetto un po’ teologico
degli avvenimenti – spiega – La fisica cammina. Ad un certo punto il
Signore ci dice quando dobbiamo scoprire alcune cose. E’ come se
qualcuno ci desse da mangiare un poco per volta. Questo dunque, potrebbe
essere il momento giusto per affrontare l’argomento”.
Ed
è proprio per fornire un chiarimento sulla vicenda, che l’ingegnere ha
organizzato una riunione in casa sua tra lo staff di questo gruppo e il
cronista che vi parla. “Quella tecnologia appartiene solo a noi. E, per
essere più precisi, a Rolando Pelizza, colui che ha materialmente
costruito la macchina a Chiari, in provincia di Brescia. – esordisce
Pietro Panetta, ex imprenditore di Roma e portavoce di Pelizza – La
Fondazione Internazionale Pace e Crescita, che si vantava di disporre di
questa tecnologia, è stata costituita da un nostro conoscente, il
professor Nereo Bolognani. Lo abbiamo avvertito a più riprese che, senza
il nostro consenso, non poteva continuare su quella strada. Alla fine,
lo abbiamo minacciato di azioni legali e allora lui, nel 2002, ha messo
in liquidazione la Fondazione” .
Risolto
il mistero della Fondazione, resta quello di chiarire chi sono coloro
che adesso si attribuiscono la proprietà della tecnologia in questione.
Di certo, il nome di Rolando Pelizza non è estraneo alla cronaca.
Infatti fu proprio lui a finire sul banco degli imputati, insieme all’ex
colonnello del Sid Massimo Pugliese, al processo di Venezia voluto dal
giudice Carlo Palermo per traffico internazionale di armi. Pelizza venne
subito assolto, Pugliese si beccò 2 anni e 8 mesi. Ricorse in appello e
fu a sua volta assolto perché “il fatto non costituisce reato”. Sempre
per la cronaca, il colonnello Pugliese trascorse il resto della sua vita
intentando cause contro il giudice Palermo, l’allora Presidente del
Consiglio De Mita e gli ex ministri Colombo (Finanze) e Zanone (Difesa)
chiedendo 9 miliardi di lire di risarcimento. Inascoltato in Italia, si
rivolse persino alla Corte di Strasburgo. Ciò premesso, vediamo adesso
chi sono e cosa pretendono gli amici di Pelizza.
Tutto cominciò oltre 50 anni fa
Signor Panetta, quando e come nasce l’invenzione di questa macchina.
“L’origine del progetto risale al 1958, ma soltanto nel 1972 si ebbe la
prima manifestazione sulla materia. Infatti, il fascio di raggi era
diretto verso il materiale da trattare: investito, in una frazione di
secondo l’oggetto subiva un processo di annichilimento, generando
calore”.
L’Istituto
Nazionale di Fisica Nucleare, da noi consultato, afferma che, alla luce
delle nostre attuali conoscenze scientifiche, una simile macchina non
sta né in cielo né in terra, anche se in linea di principio non sarebbe
impossibile. Lei che cosa risponde?
“Questo è ciò che loro sanno. Ma la realtà è diversa. E lo dimostrano le
prove fatte dal compianto professor Clementel, con la collaborazione di
Pelizza. Nei fatti, un grande fisico teorico, quasi per ispirazione
divina, ha intuito il mezzo per far interagire la materia. E si è
dedicato interamente alla stesura del progetto”.
Di chi sta parlando?
“Certamente non di Pelizza, che ha soltanto aiutato questo fisico a
costruire la macchina. Lo chiamava “il professore”. Ha imparato da lui a
gestirla, frequentandolo per oltre quindici anni. Da solo non avrebbe
mai avuto né la preparazione né la capacità per arrivare a tanto”.
Dica di chi si tratta, allora.
“Mi dispiace, ma non posso fare nomi. Non sono autorizzato a farlo.
Tutto quello che posso dire è che occorsero circa dieci anni, e
arriviamo così al 1981, per riuscire a controllare il fascio di raggi”.
Va bene, allora ci può mostrare questa prodigiosa macchina: può farci assistere ad una prova?
“No, mi dispiace. Nessuno può vederla. Solo a suo tempo, quando avremo
definito certe trattative che abbiamo in corso a livello mondiale,
potremo mostrarla. E in quell’occasione parlerà anche Pelizza. Ma non
prima”. Ma il gruppo collegato a Pelizza, che sta per creare una
Fondazione, è davvero l’unico a conoscere i segreti della misteriosa
tecnologia? A quanto pare, non proprio. Da anni, infatti, qualcun altro
si sta interessando attivamente a questi problemi. Ma come si è formato
questo secondo filone di ricerca? “Per caso – risponde l’ingegnere
elettronico milanese Franco Cappiello -. Fu verso la fine degli anni
Novanta che conobbi il colonnello Pugliese, allora nel pieno della sua
campagna giudiziaria contro giudici e politici. Un giorno, forse
sentendo la fine vicina, mi raccontò tutta la storia della macchina e mi
regalò la documentazione di cui era in possesso.
C’erano
i disegni e i piani di costruzione, aveva conservato tutto. Mi diede
anche qualche indicazione utile sul come costruire un prototipo. E fece
appena in tempo, perché morì nel 1998. Così, da quel momento, mi sono
dedicato anima e corpo alla macchina e, dopo avere studiato bene il
fenomeno, posso dire che la base scientifica di questa scoperta non
manca davvero. A mio avviso, si tratta di un generatore di energia a
trasporto positronico (i positroni sono antiparticelle degli elettroni,
dotate di carica positiva n.d.r.). L’energia che fornisce è termica e
completamente priva di radioattività”. Cappiello, però, si rende conto
che una scoperta scientifica, per essere giudicata tale, deve essere
studiata ed esaminata da scienziati veri.“Ed è per questa ragione –
afferma – che ho chiesto l’aiuto di una equipe di ricercatori
dell’Università di Pavia. Questi scienziati, guidati da un’autorità come
il professor Sergio P. Ratti, studieranno tutti gli aspetti di questa
macchina. Ci tengo comunque a chiarire che recentemente ho instaurato
una fruttuosa collaborazione con Rolando Pelizza”.
Le domande degli scienziati
Difficile
immaginare uno scienziato più illustre del professor Ratti per studiare
la funzionalità della macchina. Docente di Fisica Sperimentale
all’Università di Pavia, oggi in pensione, Sergio P. Ratti è uno degli
scienziati italiani più conosciuti al mondo e una della massime autorità
in fatto di positroni.
Professor Ratti, come è giunto alla decisione di dirigere le ricerche sulla macchina che dà energia?
“Confucio diceva che la scienza è scienza quando sa separare ciò che
conosciamo da ciò che crediamo di conoscere. Nel caso specifico, si
tratta di accertare se questo macchinario sia in grado o meno di
liberare positroni dal vuoto assoluto. Dunque faremo tutte le prove
necessarie, adottando i dovuti accorgimenti, per verificare se questo
possa realmente accadere. Nelle opportune condizioni, l’esperimento deve
essere ripetibile. Altrimenti non si parlerebbe di scienza”.
Che cosa intende quando parla di accorgimenti?
“Mi riferisco alla legge 626 sulla sicurezza del lavoro. Qualora si
ottenesse l’annichilimento di 500 grammi di ferro, dove andrebbero a
finire i residui? Nei polmoni dei presenti? E’ quindi tassativo, tanto
per fare un esempio, che il locale in cui vengono svolti gli esperimenti
sia dotato di uno specifico sistema di ventilazione, con filtri per
l’aria. E dovranno essere presenti anche tutti gli altri dispositivi di
sicurezza attiva e passiva”.
Avete già i locali adatti?
“Ho inoltrato una richiesta in questo senso al rettore dell’Università di Pavia. Attendo una risposta”.
Da
un punto di vista scientifico, questa scoperta potrebbe cambiare la
fisica come oggi la conosciamo. Secondo lei, come potrebbe essere
accolta una novità di questo genere?
“Ha presente che cosa accadde a Galileo quando parlò delle sue conclusioni sul moto della terra intorno al sole?
Il problema è che, prima di parlare di scoperta scientifica, si devono
avere tutte le prove del caso. Quello che posso dire è che ho consultato
diversi miei colleghi in giro per il mondo, e ho avuto risposte
interessanti. Uno, decisamente molto importante che lavora
all’Università di Harvard, mi ha confermato che, in linea di principio,
potrebbe essere. Insomma, bisogna studiare il fenomeno nel modo più
serio e corretto possibile. Quanto alle conclusioni, vedremo a tempo
debito”.
Fonte: http://www.stampalibera.com
Tratto da:
informatitalia.blogspot.com