Ana Leboeuf è un’infermiera brasiliana che ha vissuto un’esperienza
di morte imminente (NDE). Da anni si dedica alla ricerca sul rapporto
tra coscienza e cervello, indagando anche sulla morte e sulle uscite dal
corpo (OBE) in quanto membro della IAC (Accademia internazionale di
Coscienziologia) . L’abbiamo incontrata a un recente congresso e le
abbiamo chiesto perché a suo modo di vedere il fatto di abituarsi a
vivere esperienze fuori dal corpo aiuta a perdere la paura della morte.
“Praticare le proiezioni fuori dal corpo è uno dei modi più sicuri di
perdere la paura della morte” ci risponde. “ Infatti la proiezione è in
se stessa una specie di morte provvisoria. Se il soggetto prende
coscienza di essere fuori dal proprio corpo fisico, vive coscientemente
una specie di morte e si rende conto che questa esperienza non ha nulla
di spaventoso. Ho notato che le persone che hanno una certa familiarità
con le proiezioni parlano spesso della morte, al contrario della
maggioranza della gente che fa di tutto per evitare questo tema. Devo
aggiungere che personalmente credo nella reincarnazione e penso che
capire di stare compiendo un processo evolutivo di cui una vita e una
morte non sono altro che tappe aiuta a superare la paura di morire.”
Quindi è solo la paura dell’ignoto che genera il tabù della morte?
Oltre al terrore dell’ignoto, tra le cause principali per cui la
maggior parte delle persone ha paura della morte e tende a rimuovere il
pensiero di dover morire un giorno ci sono gli attaccamenti. Gli
attaccamenti sono ciò che ci lega a questa vita. In particolare siamo
attaccati ai nostri cari e di conseguenza temiamo di perderli. Abbiamo
paura della morte perché la morte ci separa da tutti coloro che abbiamo
amato. Un altro lavoro importante per prepararsi alla morte, oltre alla
pratica delle proiezioni fuori dal corpo, consiste nel vincere gli
attaccamenti.
Dobbiamo staccarci affettivamente dai nostri cari?
Certo che no. È giusto voler bene ai propri familiari, ma il fatto
di sapere di aver già vissuto varie vite e di aver avuto molti padri,
molte madri, molti fratelli, molti mariti o mogli ai quali siamo stati
legati esattamente come oggi lo siamo ai nostri cari ci può aiutare a
vedere tutto nelle giuste proporzioni. Se ci rendiamo conto che oggi
alcuni di questi esseri sono in questa dimensione come noi, mentre altri
si trovano in dimensioni extrafisiche. Se scopriamo che abbiamo amato
tutti questi esseri come oggi amiamo i nostri familiari attuali, allora
perdiamo l’attaccamento morboso alla nostra famiglia.
Lei fa parte di un gruppo di studio sulla morte fondato dall’IAC. Potrebbe parlarcene?
Volentieri. Si tratta di un gruppo che viene chiamato “invisibile”
in quanto non ha una sede fisica. Ci incontriamo settimanalmente online
per discutere del tema della morte. Annualmente avviene un incontro
effettivo durante il quale affrontiamo temi specifici quali un video, o
un libro. In queste occasioni organizziamo attività aperte al pubblico,
sempre legate al tema della morte.
Questo gruppo è aperto a tutti?
Sì a tutti, a condizione di essere accettati dai coordinatori. Abbiamo persone di vari paesi e usiamo varie lingue.
Avete progetti per il futuro?
In effetti sì. Vorremmo dialogare con persone e organizzazioni fuori dalla IAC. Il nostro progetto ha un nome: Vita sana, morte felice.
Per vita sana non intendiamo tanto la salute fisica quanto quella
psichica. Spesso le persone che hanno una malattia cronica grave si
preoccupano solo di guarire fisicamente, ma non pensano alla propria
salute coscienziale che potrebbe aiutarle a passare in modo felice in
altre dimensioni. Un’altra proposta è lavorare con pazienti terminali e
con i loro famigliari. Nel gruppo abbiamo una psicologa specializzata
nel tema dell’elaborazione del lutto che potrebbe aiutare le famiglie a
vivere il dolore della perdita. È importante non rimuovere il lutto, ma
vivere il dolore in modo sano e positivo.
Vi interessate anche di culture antiche o tradizionali dove il
concetto di morte è radicalmente diverso dal nostro e dove la vita dopo
la morte non viene messa in dubbio?
Personalmente sono convinta che tutti noi siamo già passati da
queste antiche credenze. Nell’esistenza presente dobbiamo preparare le
nostre vite future. Se, grazie alle tecniche di proiezione, riusciamo a
conservare una certa lucidità durante il processo di morte, potremo
affrontare meglio il periodo tra le vite e preparare le nostre prossime
incarnazioni. Anche l’IAC ha una tecnica chiamata retrocognizione che
permette di raccogliere informazioni da vite passate, forse vissute
proprio nei popoli e nelle civiltà cui faceva allusione. Tuttavia, se
come credo stiamo compiendo un processo evolutivo, allora sappiamo che
ciò che siamo oggi è meglio di ciò che siamo stati nelle vite
precedenti. Perciò credo sia molto importante guardare avanti anziché
legarci al passato e usare al meglio ciò che siamo stati in questa vita.
La meditazione può aiutare a prepararci alla morte?
La meditazione si può paragonare alla proiezione. Se l’interessato
ha un buon livello di evoluzione si troverà a livelli extrafisici
elevati. Ma se al contrario ha molte immaturità, troverà livelli
corrispondenti. È vero che durante queste esperienze possiamo incontrare
delle entità più evolute che ci aiutano. Io stessa durante l’esperienza
di premorte ho incontrato un’entità molto più evoluta di me. Ho sentito
la sua grande serenità, la pace che emanava. Ma questi incontri non
fanno evolvere automaticamente. Semmai servono a capire che dobbiamo
lavorare su noi stessi per arrivare a un livello migliore. Non credo che
il solo fatto di meditare ci aiuti nell’evoluzione. Credo molto più nel
lavoro concreto nella vita di tutti i giorni. Quando medito posso
effettivamente toccare un livello più alto, ma se ciò non viene unito
alla pratica, rimane molto teorico. Non bisogna dimenticare che la vita
spesso ci confronta con molte immaturità, molta violenza e che tutto ciò
mette alla prova il nostro livello evolutivo.
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