30 novembre 2017

Perchè sogniamo? Dalla psicanalisi agli universi paralleli…


Sono molte le teorie che cercano di spiegare perchè l’uomo passi un terzo della sua vita dormendo.
Si è passati dal considerare il sonno alla stregua di altri adattamenti evolutivi, riconoscendogli la funzione di recupero energetico e quindi d’inattività mentale e fisica ad un’idea di sonno attivo, caratterizzato da sotto-processi indispensabili per la vita dell’essere umano.



Il sonno, insomma, è uno dei misteri della biologia. Ma a porre altri interrogativi è l’attività legata a doppio filo al sonno, cioè ‘sognare’.
I sogni hanno affascinato l’essere umano sin dall’antichità. Per i nostri antenati erano il mezzo utilizzato dagli dei per entrare in comunicazione con gli uomini. Anche nella Bibbia vengono riportati episodi in cui si narra di sogni destinati ad istruire la persona su la volontà di Dio.
Ma perchè sogniamo? A cosa servono i sogni? Anche in questo caso, sono state proposte numerose teorie, ma nessuna di esse risulta pienamente condivisa dai ricercatori. Considerando l’enorme quantità di tempo che passiamo in stato di sogno, il fatto che i ricercatori non abbiano ancora capito la funzione dei sogni può sembrare sconcertante.
Dopo essere stati oggetto di riflessione da parte di uomini religiosi e filosofi, solo di recente i sogni sono diventati oggetto di ricerca empirica e studio scientifico.
Innanzitutto, cominciamo da una domanda di base: che cosa è un sogno? Tutti noi abbiamo fatto l’esperienza sconcertante di sogni dal contenuto misterioso, composto da immagini, pensieri ed emozioni praticamente reali.
Essi possono essere straordinariamente vividi o molto vaghi, piene di emozioni gioiose, dalle quali mai vorremmo svegliarci, o da immagini spaventose che condizionano il nostro stato d’animo durante la veglia.
E come spiegare l’esperienza che in molti hanno provato del ‘sogno nel sogno’? Sognare di sognare non è così frequente, ma quando capita colpisce molto la fantasia ed il ricordo del sognatore che si sente proiettato in una profondità inconscia o in una vita parallela misteriosa.
Ricercatori come lo psichiatra e scrittore Frederik van Eeden hanno anche parlato di ‘sogni lucidi’ o ‘sogni coscienti’, per indicare un’esperienza durante la quale si può prendere coscienza del fatto di stare sognando. Il sognatore in questione, detto ‘onironauta’, può quindi, con la pratica, esplorare e modificare a piacere il proprio sogno.
Stephen LaBerge, scienziato all’università di Stanford e fondatore del Lucidity Institute, un centro di ricerca sul fenomeno dei sogni lucidi, descrive l’esperienza come “il sognare sapendo di stare sognando”.
In realtà, non esiste una definizione universalmente accettata dei sogni. In generale si osserva una forte corrispondenza con la fase REM, durante la quale un elettroencefalogramma rileva un’attività cerebrale paragonabile a quella della veglia. I sogni che siamo in grado di ricordare, non avvenuti durante la fase REM, sono a confronto più banali.
Un uomo in media sogna complessivamente per sei anni durante la sua vita(circa due ore per ogni notte). Non si conosce ancora l’area del cervello in cui hanno origine i sogni, né sappiamo se abbiano origine in una singola area o se più parti del cervello vi concorrano, né conosciamo lo scopo dei sogni per il corpo e la mente. Insomma, ci troviamo di fronte ad un enigma biologico vero e proprio.
Alcuni ricercatori sostengono che i sogni non servano a nulla di reale, mentre altri sono convinti che sognare sia una funzione fondamentale della mente, con ricadute benefiche sullo stato emotivo e fisico della persona.

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Ernest Hoffman, direttore dello Sleep Disorder Center presso il Newton Wellesley Hospital di Boston, suggerisce che una possibile funzione dei sogni (anche se certamente non provata) è che questi tessano nuovo materiale nell’archivio della memoria cerebrale, in modo da ridurre l’eccitazione emotiva e contribuire all’attenuazione di ulteriori traumi e stati di stress.
Deirdre Barret, psicologa dell’Harvard University, è invece convinta che i sogni siano lo strumento di cui è dotato l’uomo per risolvere i problemi. Sognare potrebbe aiutarci a trovare soluzioni a problemi che ci affliggono durante le ore di veglia. Si tratterebbe di un’attività cerebrale simile al pensiero, ma in uno stato leggermente diverso rispetto a quando i nostri occhi sono aperti.
La Barret, per argomentare la sua teoria, ha legato il ‘sognare’ all’evoluzione: “La mia opinione è che l’evoluzione non spreca nulla. Tutte le funzioni degli esseri viventi si evolvono per uno scopo, per generare qualcosa di utile”.
Lo scopo della ricercatrice è quello di dimostrare che i sogni non sono un semplice sottoprodotto dello stato REM tipico del sonno profondo, ma il frutto di una lunghissima storia evolutiva che ha dotato i viventi di tale facoltà per uno scopo preciso.
Tuttavia, non tutti sono d’accordo con la prospettiva suggerita dalla Barret. Alcuni ricercatori si sono chiesti se l’uomo, e gli altri esseri viventi, si fossero evoluti su un pianeta perennemente illuminato, dove l’alternanza notte/giorno sarebbe stata inesistente, lo stesso avrebbero sviluppato l’esigenza del sonno e la facoltà di sognare?
Inoltre, a giudizio di molti, il sonno non sembra un attività così pratica: dall’uomo al gatto, dai rettili agli uccelli e gli insetti, trascorriamo tanta parte della nostra vita in uno stato, il sonno, durante il quale non possiamo procacciarci cibo, ne accoppiarci e quindi riprodurci; in cui rimaniamo vulnerabili agli attacchi dei predatori mentre continuiamo a consumare, comunque, una quota significativa di energie. Basti pensare che tra otto ore passate a letto in stato di veglia anziché dormendo, in termini di consumo energetico la differenza sta in un bicchiere di latte.
Infine, se come afferma la Barret il sogno è finalizzato alla soluzione di problemi che ci affliggono nelle ore di veglia, come mai su 8 ore passate a dormire, ne trascorriamo solo due nella terra dei sogni? E perché il sonno ha sede nel tronco encefalico, la parte più primitiva del cervello?

La psicoanalisi



Il padre della psicanalisi, Sigmud Freud, suggerì che i sogni possano essere una rappresentazione di desideri inconsci, pensieri e motivazioni. Secondo la sua visione della personalità, le persone sono guidate da istinti aggressivi e sessuali, normalmente repressi dalla consapevolezza cosciente.
Se questi istinti non possono essere espressi consapevolmente, Freud pensò che potessero trovare la loro strada nei sogni. Nel suo famoso libro ‘L’interpretazione dei sogni’, Freud scrisse che i sogni sono “adempimenti camuffati di desideri repressi”.
Nonostante la teoria di Freud abbia contribuito alla popolarità dell’interpretazione dei sogni, ricerche successive hanno dimostrato che il contenuto manifesto del sogno nasconde il vero significato psicologico. Tale modello, chiamato “teoria di attivazione di sintesi”, fu elaborato nel 1976 da J. Allan Hobson e Robert McCarley, secondo i quali i circuiti nel cervello si attivano durante il sonno REM, il che fa sì che alle aree del sistema limbico coinvolto nelle emozioni, sensazioni e ricordi, di diventare attive.
Il cervello sintetizza questa attività interna e tenta di dare significato a questi segnali, attività che si traduce nel ‘sognare’. Questo modello suggerisce che i sogni sono un’interpretazione personale di segnali generati dal cervello durante il sonno.
Anche se questa teoria suggerisce che i sogni siano il risultato di segnali generati internamente, Hobson è convinto che i sogni non siano privi di significato, anzi “si tratta del nostro stato di coscienza più creativo. Alcuni sogni sembrano non avere senso, eppure spesso sono davvero utili a darci nuove informazioni: sognare non è tempo sprecato”, conclude il ricercatore.

Universi paralleli



A fare un’incursione nella ‘questione onirica’ c’è anche la fisica quantistica. Alcuni scienziati si stanno progressivamente convincendo che i nostri sogni siano delle finestre che affacciano in universi paralleli, dove le cose avvengono in maniera molto diversa rispetto al nostro universo.
Considerando la possibilità che gli universi paralleli esistenti possano esistere in numero infinito, allora anche le possibilità dei sogni sono infinite. Nei sogni abbiamo la capacità di migrare nel ‘multiverso’ sperimentando viaggi davvero incredibili.
Mentre il mondo gira, miliardi di persone, e forse anche gli animali, fanno questi viaggi interdimensionali. Il confronto tra i modelli cerebrali tra veglia e sonno indica che il cervello non funziona in modo simile nei due stati, eppure, in entrambi i casi, siamo consapevoli e presenti a noi stessi.
In entrambi gli stati stiamo ricevendo input sensoriali, anche se nel caso dei sogni l’origine di questi dati in ingresso e degli organi coinvolti nella loro ricezione rimangono un mistero. In un articolo pubblicato qualche tempo fa sul fenomeno del Deja Vù, furono presentati i pareri di alcuni ricercatori in proposito.
Il dott. Michio Kaku, conosciuto dalla maggior parte delle persone per la sua attività di divulgatore scientifico e per le sue teorie che certamente travalicano i confini delle fisica tradizionale, ha proposto un’interessante connessione tra il fenomeno del déjà vu e l’esistenza degli universi paralleli.
Secondo il dott. Kaku, la fisica quantistica afferma che c’è la possibilità che il déjà vu sia causato dalla nostra capacità di saltare da un universo all’altro! E’ un pò come se centinaia di onde radio differenti fossero trasmesse intorno a noi da stazioni lontane.
Se siamo in possesso dello strumento giusto, una semplice radiolina, possiamo ascoltare una sola frequenza alla volta, questo perchè tutte le frequenze non sono in fase tra loro.
Ogni stazione trasmette il proprio segnale a una frequenza diversa, con un’energia diversa. Il risultato è che la radiolina può captare una sola frequenza alla volta. Allo stesso modo, nel nostro universo noi siamo sintonizzati sulla frequenza che corrisponde alla realtà fisica. Ma ci sono un numero infinito di realtà parallele che esistono attorno a noi, “trasmesse” ad una frequenza differente dalla nostra e con le quali noi non possiamo sintonizzarci.
Trasportando questa suggestiva teoria alla ‘questione onirica’, possiamo supporre che i sogni si producano quando il nostro cervello (la nostra mente) è in grado di sintonizzarsi su un differente stato quantico dell’Universo, cioè un universo parallelo?
Quando ci troviamo a sognare una situazione talmente vivida da sembrare reale, stiamo forse ‘captando’ la mente e i dati sensoriali del nostro ‘alterego parallelo’? Ed è anche possibile che un nostro alterego si sintonizzi sulla nostra mente per sognare la nostra vita?
Chissà! Possibilità del genere aprono a domande più profonde, quali ‘che cosa è la coscienza’? Essa è la più sfuggente ed eterea delle realtà che possiamo comprendere. La fisica quantistica, con il progresso degli studi, tende sempre più a staccare la coscienza dai processi chimici e fisici del cervello, fino a darle una esistenza propria (che alcuni chiamano ‘anima’) e darle la dignità di ‘struttura fondamentale dell’universo’.

Fonte



19 ottobre 2017

Uno studio spiega cosa significa vivere in un ‘universo olografico’

Secondo un nuovo studio pubblicato su Physical Review Letters, i dati sulla radiazione cosmica di fondo sono coerenti con l'idea di un universo olografico. «L’idea alla base della teoria olografica dell’universo è che tutte le informazioni che costituiscono la ‘realtà’ a tre dimensioni siano contenute entro i confini di una realtà con una dimensione in meno»., spiega Claudio Corianò, fisico teorico coinvolto nello studio.

 

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[Istituto Nazionale di Fisica Nucleare] Un nuovo studio ha fornito le prime importanti indicazioni scientifiche sulla compatibilità statistica con i dati sperimentali del modello olografico dell’universo, secondo il quale il nostro universo sarebbe, appunto, un grande e complesso ologramma.
La ricerca ha coinvolto fisici e astrofisici teorici di Regno Unito, Italia e Canada, in particolare dell’Università di Southampton in Inghilterra, della Sezione di Lecce dell’INFN e dell’Università del Salento in Italia, del Perimeter Institute e dell’Università di Waterloo in Canada.
La ricerca è frutto di un’analisi congiunta di aspetti teorici e fenomenologici della fisica dell’universo primordiale, uniti a studi di fisica delle interazioni fondamentali.
I risultati di questa complessa analisi sono stati confrontati con i dati sperimentali satellitari sulla radiazione cosmica di fondo (Cosmic Microwave Background, CMB) e sono stati trovati in accordo con essi.
Il modello corrente del nostro universo, che è in una fase di accelerazione dovuta alla presenza di energia oscura, prevede una cosiddetta ‘costante cosmologica’, introdotta da Einstein negli anni ’20 e chiamata Lambda, insieme a materia oscura fredda (Cold Dark Matter, CDM), e per questo prende il nome di modello Lambda-CDM. Questo modello è supportato dai dati sperimentali.
La nuova ricerca, pubblicata su Physical Review Letters, prova che gli stessi dati sperimentali sono a favore anche di un modello di universo olografico.
«L’ipotesi che il nostro universo funzioni come un enorme e complesso ologramma è stata formulata negli anni ’90 del secolo scorso da diversi scienziati, raccogliendo evidenze teoriche in vari settori della fisica delle interazioni fondamentali», spiega Claudio Corianò, ricercatore dell’INFN e professore di fisica teorica dell’Università del Salento, che ha partecipato alla ricerca insieme ai colleghi Niayesh Afshordi, Luigi Delle Rose, Elizabeth Gould e Kostas Skenderis.
«L’idea alla base della teoria olografica dell’universo è che tutte le informazioni che costituiscono la ‘realtà’ a tre dimensioni, più il tempo, siano contenute entro i confini di una realtà con una dimensione in meno», prosegue Corianò.
Si può immaginare che tutto ciò che si vede, si sente e si ascolta in 3D, compresa la percezione del tempo, sia emanazione di un campo piatto bidimensionale, cioè che la terza dimensione sia ‘emergente’, se paragonata alle altre due dimensioni.
L’idea, quindi, è simile a quella degli ologrammi ordinari, in cui l’immagine tridimensionale è codificata in una superficie bidimensionale, come nell’ologramma su una carta di credito, solo che qui è l’intero universo a essere codificato. In un ologramma la terza dimensione viene generata dinamicamente a partire dall’informazione sulle rimanenti due dimensioni.

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«Per creare un ologramma si prende un fascio laser luminoso e lo si separa all’origine in due fasci: uno è inviato su un oggetto distante e quindi viene riflesso, mentre l’altro è inviato per essere registrato», spiega Corianò. «Servono due coordinate per indirizzare il fascio incidente sull’oggetto, in modo da esplorarlo completamente, mentre è proprio l’interferenza tra il fascio originario e quello riflesso che permette di ricostruire l’immagine e dare il senso della profondità».
Si può rappresentare il concetto pensando al cinema in 3D. Anche in questo caso la visione 3D è il risultato di due immagini differenti inviate all’occhio destro e all’occhio sinistro, dove una scena viene ripresa da due angolature distinte, che il nostro cervello processa automaticamente generando il senso della profondità.
L’informazione, in questo caso, viene da uno schermo piatto, ma è percepita dall’osservatore come tridimensionale. In ambito cosmologico, per avere una rappresentazione semplificata della formulazione olografica, possiamo immaginare che ci sia una superficie ideale, sulla quale tutta l’informazione dell’universo venga in qualche modo registrata, come in un ologramma: uno schermo che contiene la “scena” dell’intero universo.
Gli scienziati ora sperano che il loro studio possa aprire la via per migliorare la nostra comprensione dell’universo e spiegare come lo spazio e il tempo si siano prodotti.

12 ottobre 2017

Un uomo morto per un’ora racconta di essere stato nell’aldilà

Questa è l'incredibile storia di un uomo americano ritornato in vita dopo essere tecnicamente morto per quasi un ora. Quando ormai i medici avevano interrotto ogni tentativo per rianimarlo, l'uomo ha scioccato tutti ritornando in vita. Ma ciò che più sconcerta è il racconto di ciò che ha visto dall'altra parte.

 

Brian Miller, 41 anni, è un camionista dell’Ohio. Mentre era intento ad aprire un contenitore, si è reso conto che c’era qualcosa che non andava.
L’uomo ha immediatamente chiamato la polizia. “Sono un autista di camion e penso che sto avendo un attacco di cuore”, ha detto all’operatore.
Miller è stato prelevato da un ambulanza e subito ricoverato in un ospedale locale dove i medici sono riusciti ad arginare l’attacco cardiaco.
Ma dopo aver ripreso conoscenza e sentire alleviare il dolore, l’uomo ha sviluppato una fibrillazione ventricolare, una aritmia cardiaca rapidissima, caotica che provoca contrazioni non coordinate del muscolo cardiaco dei ventricoli nel cuore.
Il risultato è che la gittata cardiaca cessa completamente. La fibrillazione ventricolare è uno dei quattro tipi di arresto cardiaco.
«Non c’era battito cardiaco, non c’era pressione sanguigna e non c’era polso», racconta l’infermiera Emily Bishop a fox8.com. I medici hanno cercato di rianimarlo, tentando per quattro volte di riportarlo in vita, ma Miller sembrava ormai senza speranza.
È a partire da questo momento che Miller ha raccontato di essere scivolato via in un mondo celeste. «L’unica cosa che mi ricordo è che ho cominciato a vedere la luce e a camminare verso di essa», racconta Brian.
Si è ritrovato a percorrere un sentiero fiorito con una luce bianca all’orizzonte. Miller racconta che ad un tratto ha incontrato la sua matrigna, morta da poco tempo.
«Era la cosa più bella che avessi mai visto e sembrava così felice», racconta. «Mi ha preso il braccio e mi ha detto: “Non è ancora il tuo momento, tu non devi essere qui. Devi tornare indietro, ci sono cose che ancora devi fare”».
Dopo 45 minuti, il cuore di Miller è tornato a battere dal nulla, ha detto la Bishop. «Il suo cervello è rimasto senza ossigeno per 45 minuti e il fatto che lui possa parlare, camminare e ridere è veramente incredibile».
«Sono contento di essere tornato tra i vivi», ha detto Miller. «Ora sono sicuro che la vita continua dopo la morte e la gente deve sapere e credere in essa, alla grande!».
Come riporta messagetoeagle.com, quello vissuto da Miller è un fenomeno noto ai ricercatori che studiano le esperienze di premorte (NDE). Nella maggior parte dei casi, coloro che sperimentano le NDE cambiano per sempre, sviluppando una concezione più spirituale della vita e molto più serena. I soggetti non temono più la morte, spiegando che l’esperienza è diventata la pietra angolare della loro vita.
Qualche tempo fa, un’esperienza di premorte è stata in grado anche di convincere un neurochirurgo scettico. È il caso del dottor Eben Alexander, uno scienziato agnostico che dopo l’esperienza è diventato un convinto sostenitore della vita spirituale.
Nel 2008, il dottor Alexander è scivolato in coma per sette giorni. Quello che visse in quei gironi ha cambiato per sempre la sua concezione dell’esistenza. “Come neurochirurgo, non credevo nel fenomeno delle esperienze di pre-morte. Sono cresciuto in una cultura scientifica, essendo figlio di un neurochirurgo”, spiega Alexander.

«Non sono la prima persona ad aver scoperto che la coscienza umana esiste al di là del corpo. Brevi, meravigliosi scorci di questa realtà sono antichi come la storia umana. Ma per quanto ne so, nessuno prima di me ha viaggiato in questa dimensione con la corteccia completamente spenta e con il corpo sotto osservazione medica minuto per minuto e per sette giorni di seguito».
Pur essendo in come, il dottor Alexander racconta di aver visto il paradiso, dove dice di aver incontrato una bellissima donna dagli occhi azzurri in un luogo fatto di nuvole e di esseri scintillanti. «Mi ci sono voluti mesi per venire a patti con quello che mi è successo».
«So bene quanto sia straordinario e quanto suoni francamente incredibile. Se ai vecchi tempi qualcuno, anche un medico, mi avesse raccontato una storia del genere, sarei stato certo che era sotto l’incantesimo di una qualche delusione. Ma tutto questo era successo a me ed era reale, e forse più reale di ogni evento della mia vita. Quello che mi è successo esige una spiegazione», conclude Alexander.

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