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19 giugno 2015
16 giugno 2015
Prepararsi alla morte con i viaggi fuori dal corpo
Ana Leboeuf è un’infermiera brasiliana che ha vissuto un’esperienza
di morte imminente (NDE). Da anni si dedica alla ricerca sul rapporto
tra coscienza e cervello, indagando anche sulla morte e sulle uscite dal
corpo (OBE) in quanto membro della IAC (Accademia internazionale di
Coscienziologia) . L’abbiamo incontrata a un recente congresso e le
abbiamo chiesto perché a suo modo di vedere il fatto di abituarsi a
vivere esperienze fuori dal corpo aiuta a perdere la paura della morte.
“Praticare le proiezioni fuori dal corpo è uno dei modi più sicuri di perdere la paura della morte” ci risponde. “ Infatti la proiezione è in se stessa una specie di morte provvisoria. Se il soggetto prende coscienza di essere fuori dal proprio corpo fisico, vive coscientemente una specie di morte e si rende conto che questa esperienza non ha nulla di spaventoso. Ho notato che le persone che hanno una certa familiarità con le proiezioni parlano spesso della morte, al contrario della maggioranza della gente che fa di tutto per evitare questo tema. Devo aggiungere che personalmente credo nella reincarnazione e penso che capire di stare compiendo un processo evolutivo di cui una vita e una morte non sono altro che tappe aiuta a superare la paura di morire.”
Quindi è solo la paura dell’ignoto che genera il tabù della morte?
Oltre al terrore dell’ignoto, tra le cause principali per cui la maggior parte delle persone ha paura della morte e tende a rimuovere il pensiero di dover morire un giorno ci sono gli attaccamenti. Gli attaccamenti sono ciò che ci lega a questa vita. In particolare siamo attaccati ai nostri cari e di conseguenza temiamo di perderli. Abbiamo paura della morte perché la morte ci separa da tutti coloro che abbiamo amato. Un altro lavoro importante per prepararsi alla morte, oltre alla pratica delle proiezioni fuori dal corpo, consiste nel vincere gli attaccamenti.
Dobbiamo staccarci affettivamente dai nostri cari?
Certo che no. È giusto voler bene ai propri familiari, ma il fatto di sapere di aver già vissuto varie vite e di aver avuto molti padri, molte madri, molti fratelli, molti mariti o mogli ai quali siamo stati legati esattamente come oggi lo siamo ai nostri cari ci può aiutare a vedere tutto nelle giuste proporzioni. Se ci rendiamo conto che oggi alcuni di questi esseri sono in questa dimensione come noi, mentre altri si trovano in dimensioni extrafisiche. Se scopriamo che abbiamo amato tutti questi esseri come oggi amiamo i nostri familiari attuali, allora perdiamo l’attaccamento morboso alla nostra famiglia.
Lei fa parte di un gruppo di studio sulla morte fondato dall’IAC. Potrebbe parlarcene?
Volentieri. Si tratta di un gruppo che viene chiamato “invisibile” in quanto non ha una sede fisica. Ci incontriamo settimanalmente online per discutere del tema della morte. Annualmente avviene un incontro effettivo durante il quale affrontiamo temi specifici quali un video, o un libro. In queste occasioni organizziamo attività aperte al pubblico, sempre legate al tema della morte.
Questo gruppo è aperto a tutti?
Sì a tutti, a condizione di essere accettati dai coordinatori. Abbiamo persone di vari paesi e usiamo varie lingue.
Avete progetti per il futuro?
In effetti sì. Vorremmo dialogare con persone e organizzazioni fuori dalla IAC. Il nostro progetto ha un nome: Vita sana, morte felice. Per vita sana non intendiamo tanto la salute fisica quanto quella psichica. Spesso le persone che hanno una malattia cronica grave si preoccupano solo di guarire fisicamente, ma non pensano alla propria salute coscienziale che potrebbe aiutarle a passare in modo felice in altre dimensioni. Un’altra proposta è lavorare con pazienti terminali e con i loro famigliari. Nel gruppo abbiamo una psicologa specializzata nel tema dell’elaborazione del lutto che potrebbe aiutare le famiglie a vivere il dolore della perdita. È importante non rimuovere il lutto, ma vivere il dolore in modo sano e positivo.
Vi interessate anche di culture antiche o tradizionali dove il concetto di morte è radicalmente diverso dal nostro e dove la vita dopo la morte non viene messa in dubbio?
Personalmente sono convinta che tutti noi siamo già passati da queste antiche credenze. Nell’esistenza presente dobbiamo preparare le nostre vite future. Se, grazie alle tecniche di proiezione, riusciamo a conservare una certa lucidità durante il processo di morte, potremo affrontare meglio il periodo tra le vite e preparare le nostre prossime incarnazioni. Anche l’IAC ha una tecnica chiamata retrocognizione che permette di raccogliere informazioni da vite passate, forse vissute proprio nei popoli e nelle civiltà cui faceva allusione. Tuttavia, se come credo stiamo compiendo un processo evolutivo, allora sappiamo che ciò che siamo oggi è meglio di ciò che siamo stati nelle vite precedenti. Perciò credo sia molto importante guardare avanti anziché legarci al passato e usare al meglio ciò che siamo stati in questa vita.
La meditazione può aiutare a prepararci alla morte?
La meditazione si può paragonare alla proiezione. Se l’interessato ha un buon livello di evoluzione si troverà a livelli extrafisici elevati. Ma se al contrario ha molte immaturità, troverà livelli corrispondenti. È vero che durante queste esperienze possiamo incontrare delle entità più evolute che ci aiutano. Io stessa durante l’esperienza di premorte ho incontrato un’entità molto più evoluta di me. Ho sentito la sua grande serenità, la pace che emanava. Ma questi incontri non fanno evolvere automaticamente. Semmai servono a capire che dobbiamo lavorare su noi stessi per arrivare a un livello migliore. Non credo che il solo fatto di meditare ci aiuti nell’evoluzione. Credo molto più nel lavoro concreto nella vita di tutti i giorni. Quando medito posso effettivamente toccare un livello più alto, ma se ciò non viene unito alla pratica, rimane molto teorico. Non bisogna dimenticare che la vita spesso ci confronta con molte immaturità, molta violenza e che tutto ciò mette alla prova il nostro livello evolutivo.
Fonte
“Praticare le proiezioni fuori dal corpo è uno dei modi più sicuri di perdere la paura della morte” ci risponde. “ Infatti la proiezione è in se stessa una specie di morte provvisoria. Se il soggetto prende coscienza di essere fuori dal proprio corpo fisico, vive coscientemente una specie di morte e si rende conto che questa esperienza non ha nulla di spaventoso. Ho notato che le persone che hanno una certa familiarità con le proiezioni parlano spesso della morte, al contrario della maggioranza della gente che fa di tutto per evitare questo tema. Devo aggiungere che personalmente credo nella reincarnazione e penso che capire di stare compiendo un processo evolutivo di cui una vita e una morte non sono altro che tappe aiuta a superare la paura di morire.”
Quindi è solo la paura dell’ignoto che genera il tabù della morte?
Oltre al terrore dell’ignoto, tra le cause principali per cui la maggior parte delle persone ha paura della morte e tende a rimuovere il pensiero di dover morire un giorno ci sono gli attaccamenti. Gli attaccamenti sono ciò che ci lega a questa vita. In particolare siamo attaccati ai nostri cari e di conseguenza temiamo di perderli. Abbiamo paura della morte perché la morte ci separa da tutti coloro che abbiamo amato. Un altro lavoro importante per prepararsi alla morte, oltre alla pratica delle proiezioni fuori dal corpo, consiste nel vincere gli attaccamenti.
Dobbiamo staccarci affettivamente dai nostri cari?
Certo che no. È giusto voler bene ai propri familiari, ma il fatto di sapere di aver già vissuto varie vite e di aver avuto molti padri, molte madri, molti fratelli, molti mariti o mogli ai quali siamo stati legati esattamente come oggi lo siamo ai nostri cari ci può aiutare a vedere tutto nelle giuste proporzioni. Se ci rendiamo conto che oggi alcuni di questi esseri sono in questa dimensione come noi, mentre altri si trovano in dimensioni extrafisiche. Se scopriamo che abbiamo amato tutti questi esseri come oggi amiamo i nostri familiari attuali, allora perdiamo l’attaccamento morboso alla nostra famiglia.
Lei fa parte di un gruppo di studio sulla morte fondato dall’IAC. Potrebbe parlarcene?
Volentieri. Si tratta di un gruppo che viene chiamato “invisibile” in quanto non ha una sede fisica. Ci incontriamo settimanalmente online per discutere del tema della morte. Annualmente avviene un incontro effettivo durante il quale affrontiamo temi specifici quali un video, o un libro. In queste occasioni organizziamo attività aperte al pubblico, sempre legate al tema della morte.
Questo gruppo è aperto a tutti?
Sì a tutti, a condizione di essere accettati dai coordinatori. Abbiamo persone di vari paesi e usiamo varie lingue.
Avete progetti per il futuro?
In effetti sì. Vorremmo dialogare con persone e organizzazioni fuori dalla IAC. Il nostro progetto ha un nome: Vita sana, morte felice. Per vita sana non intendiamo tanto la salute fisica quanto quella psichica. Spesso le persone che hanno una malattia cronica grave si preoccupano solo di guarire fisicamente, ma non pensano alla propria salute coscienziale che potrebbe aiutarle a passare in modo felice in altre dimensioni. Un’altra proposta è lavorare con pazienti terminali e con i loro famigliari. Nel gruppo abbiamo una psicologa specializzata nel tema dell’elaborazione del lutto che potrebbe aiutare le famiglie a vivere il dolore della perdita. È importante non rimuovere il lutto, ma vivere il dolore in modo sano e positivo.
Vi interessate anche di culture antiche o tradizionali dove il concetto di morte è radicalmente diverso dal nostro e dove la vita dopo la morte non viene messa in dubbio?
Personalmente sono convinta che tutti noi siamo già passati da queste antiche credenze. Nell’esistenza presente dobbiamo preparare le nostre vite future. Se, grazie alle tecniche di proiezione, riusciamo a conservare una certa lucidità durante il processo di morte, potremo affrontare meglio il periodo tra le vite e preparare le nostre prossime incarnazioni. Anche l’IAC ha una tecnica chiamata retrocognizione che permette di raccogliere informazioni da vite passate, forse vissute proprio nei popoli e nelle civiltà cui faceva allusione. Tuttavia, se come credo stiamo compiendo un processo evolutivo, allora sappiamo che ciò che siamo oggi è meglio di ciò che siamo stati nelle vite precedenti. Perciò credo sia molto importante guardare avanti anziché legarci al passato e usare al meglio ciò che siamo stati in questa vita.
La meditazione può aiutare a prepararci alla morte?
La meditazione si può paragonare alla proiezione. Se l’interessato ha un buon livello di evoluzione si troverà a livelli extrafisici elevati. Ma se al contrario ha molte immaturità, troverà livelli corrispondenti. È vero che durante queste esperienze possiamo incontrare delle entità più evolute che ci aiutano. Io stessa durante l’esperienza di premorte ho incontrato un’entità molto più evoluta di me. Ho sentito la sua grande serenità, la pace che emanava. Ma questi incontri non fanno evolvere automaticamente. Semmai servono a capire che dobbiamo lavorare su noi stessi per arrivare a un livello migliore. Non credo che il solo fatto di meditare ci aiuti nell’evoluzione. Credo molto più nel lavoro concreto nella vita di tutti i giorni. Quando medito posso effettivamente toccare un livello più alto, ma se ciò non viene unito alla pratica, rimane molto teorico. Non bisogna dimenticare che la vita spesso ci confronta con molte immaturità, molta violenza e che tutto ciò mette alla prova il nostro livello evolutivo.
Fonte
14 giugno 2015
8 giugno 2015
6 giugno 2015
5 giugno 2015
L’esperienza di premorte di un neurochirurgo: “Sono stato in paradiso!”
Eben Alexander viene ricoverato per un attacco di meningite nel 2008.
Entra in stato vegetativo e al risveglio ricorda un viaggio in una
"dimensione più alta", popolata da angeli, in uno scenario paradisiaco.
Tra dubbi e dichiarazioni, un'esperienza che arricchisce la complessa
fenomenologia delle esperienze di "pre-morte".
E’ una storia particolare quella del dottor Eben Alexander, neurochirurgo a Harvard, con un curriculum accademico importante. Una storia finita sulla copertina di Newsweek, e ripresa – con una certa cautela – da altri giornali nel mondo.
Ma soprattutto perché il racconto della “settimana in paradiso” del neurochirurgo è quello di un salto notevole da una vita fatta di ricerche, accademia, dati, laboratori, a un’interpretazione della realtà profondamente diversa, durante i giorni in coma vissuti da Alexander e che dalla sua, ha i referti di un monitoraggio costante del suo stato cerebrale durante quello che lui definisce come un’esperienza in un altro mondo. Quello dopo la morte.
Le Near Death Experience, esperienze di “pre-morte” non sono eventualità rare. Sono anzi migliaia i casi ogni anno di persone che raccontano di aver visto, se non vissuto, in un “aldilà” dalla realtà terrena. Sono tutte esperienze accomunate da almeno un elemento, ovvero la costante, profonda e pervasiva sensazione di pace, riservata a chi attraversa il confine tra la vita e la morte.
Molti parlano di una vera e propria estasi. E nella stragrande maggioranza, chi è tornato indietro non aveva alcuna intenzione di farlo, e i racconti convergono tutti sull’intervento di una forza non meglio specificata, in grado di riavvicinare la coscienza al corpo “abbandonato”.
Nello specifico caso di Alexander, 58 anni, la figura è quella di uno specialista con un curriculum di rilievo, che nell’arco della sua carriera avrà presumibilmente ascoltato decine di storie di questo tipo, e che lui stesso dice di aver sempre respinto. Ma dopo l’attacco di meningite nel 2008, e il ricovero in coma al Virgina Hospital, una condizione che avrebbe prodotto la NDE, il dottore ha la sua personale versione da raccontare.
Mentre il suo cervello non comunicava attività, e il suo corpo era privo di conoscenza e non rispondeva agli stimoli, Alexander dice di essere giunto in un luogo “pieno di farfalle, in cui si udiva della musica e canti”, in un viaggio che descrive come “molto vivido, in un universo coerente”.
Alexander narra del suo arrivo in un posto molto simile al Paradiso nella sua immagine più comune, quella di un “luogo pieno di nuvole”, in cui è stato accolto da una donna “bellissima, con gli occhi azzurri”, e ha percepito di essere “amato incondizionatamente” da un’entità spirituale, “volando su ali di farfalla”. Tutto ciò mentre era privo di coscienza, il che porta lo scienziato a teorizzare l’esistenza di un’altra forma di coscienza, spirituale.
Quella di Alexander è quindi un’esperienza che ha modificato profondamente una radicata visione scientifica della coscienza umana. “Come neurochirurgo, non credevo alle Nde”, scrive lo scienziato su Newsweek, “e ho sempre preferito le ipotesi scientifiche”. Il dottore dichiara di non essere cattolico, e di non credere nella vita eterna. Ma poi ha sperimentato “qualcosa di così profondo”, da fargli riconsiderare le esperienze NDE in chiave scientifica.
Il suo viaggio tra “nuvole rosa e creature angeliche che lasciavano scie in cielo” racconta di incontri con creature “diverse da qualunque altra abbia mai visto su questo pianeta”, dice Alexander. “Erano più avanzate, forme più alte. E poi il canto corale che arrivava dall’alto, mi riempiva di gioia e stupore”. Tutto questo, dicono i referti, durante uno stato in cui la corteccia cerebrale, la parte che controlla le emozioni e il pensiero, costantemente monitorata, è risultata priva di attività.
Alexander aggiunge: “Non c’è una spiegazione scientifica a quello che è successo: mentre i neuroni della corteccia erano inattivi a causa dell’infezione, qualcosa come una coscienza slegata dalla mente è arrivata in un altro universo. Una dimensione di cui mai avrei immaginato l’esistenza”. Un’esperienza che lo stesso dottore ha ben chiaro possa ricordare un set hollywoodiano.
E che però, dichiara, “Non era di fantasia. E ha profondamente inciso sulla mia attività professionale e sfera spirituale”. Con l’auspicio, inoltre, che un contributo firmato da un neuroscienziato possa aiutare a fare più luce, terrena, sul complesso fenomeno delle Nde.
Fonte
E’ una storia particolare quella del dottor Eben Alexander, neurochirurgo a Harvard, con un curriculum accademico importante. Una storia finita sulla copertina di Newsweek, e ripresa – con una certa cautela – da altri giornali nel mondo.
Ma soprattutto perché il racconto della “settimana in paradiso” del neurochirurgo è quello di un salto notevole da una vita fatta di ricerche, accademia, dati, laboratori, a un’interpretazione della realtà profondamente diversa, durante i giorni in coma vissuti da Alexander e che dalla sua, ha i referti di un monitoraggio costante del suo stato cerebrale durante quello che lui definisce come un’esperienza in un altro mondo. Quello dopo la morte.
Le Near Death Experience, esperienze di “pre-morte” non sono eventualità rare. Sono anzi migliaia i casi ogni anno di persone che raccontano di aver visto, se non vissuto, in un “aldilà” dalla realtà terrena. Sono tutte esperienze accomunate da almeno un elemento, ovvero la costante, profonda e pervasiva sensazione di pace, riservata a chi attraversa il confine tra la vita e la morte.
Molti parlano di una vera e propria estasi. E nella stragrande maggioranza, chi è tornato indietro non aveva alcuna intenzione di farlo, e i racconti convergono tutti sull’intervento di una forza non meglio specificata, in grado di riavvicinare la coscienza al corpo “abbandonato”.
Nello specifico caso di Alexander, 58 anni, la figura è quella di uno specialista con un curriculum di rilievo, che nell’arco della sua carriera avrà presumibilmente ascoltato decine di storie di questo tipo, e che lui stesso dice di aver sempre respinto. Ma dopo l’attacco di meningite nel 2008, e il ricovero in coma al Virgina Hospital, una condizione che avrebbe prodotto la NDE, il dottore ha la sua personale versione da raccontare.
Mentre il suo cervello non comunicava attività, e il suo corpo era privo di conoscenza e non rispondeva agli stimoli, Alexander dice di essere giunto in un luogo “pieno di farfalle, in cui si udiva della musica e canti”, in un viaggio che descrive come “molto vivido, in un universo coerente”.
Alexander narra del suo arrivo in un posto molto simile al Paradiso nella sua immagine più comune, quella di un “luogo pieno di nuvole”, in cui è stato accolto da una donna “bellissima, con gli occhi azzurri”, e ha percepito di essere “amato incondizionatamente” da un’entità spirituale, “volando su ali di farfalla”. Tutto ciò mentre era privo di coscienza, il che porta lo scienziato a teorizzare l’esistenza di un’altra forma di coscienza, spirituale.
Quella di Alexander è quindi un’esperienza che ha modificato profondamente una radicata visione scientifica della coscienza umana. “Come neurochirurgo, non credevo alle Nde”, scrive lo scienziato su Newsweek, “e ho sempre preferito le ipotesi scientifiche”. Il dottore dichiara di non essere cattolico, e di non credere nella vita eterna. Ma poi ha sperimentato “qualcosa di così profondo”, da fargli riconsiderare le esperienze NDE in chiave scientifica.
Il suo viaggio tra “nuvole rosa e creature angeliche che lasciavano scie in cielo” racconta di incontri con creature “diverse da qualunque altra abbia mai visto su questo pianeta”, dice Alexander. “Erano più avanzate, forme più alte. E poi il canto corale che arrivava dall’alto, mi riempiva di gioia e stupore”. Tutto questo, dicono i referti, durante uno stato in cui la corteccia cerebrale, la parte che controlla le emozioni e il pensiero, costantemente monitorata, è risultata priva di attività.
Alexander aggiunge: “Non c’è una spiegazione scientifica a quello che è successo: mentre i neuroni della corteccia erano inattivi a causa dell’infezione, qualcosa come una coscienza slegata dalla mente è arrivata in un altro universo. Una dimensione di cui mai avrei immaginato l’esistenza”. Un’esperienza che lo stesso dottore ha ben chiaro possa ricordare un set hollywoodiano.
E che però, dichiara, “Non era di fantasia. E ha profondamente inciso sulla mia attività professionale e sfera spirituale”. Con l’auspicio, inoltre, che un contributo firmato da un neuroscienziato possa aiutare a fare più luce, terrena, sul complesso fenomeno delle Nde.
Fonte
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