Non solo racconti popolari, ma anche un tragico fatto di cronaca: nel 1960 un fulmine colpì la croce in vetta mentre era in corso una funzione religiosa: morirono in quattro
La Bisalta, con i suoi 2.231 metri di altezza, si erge in tutta la sua possenza sulla pianura cuneese fin da quando non era abitata dagli uomini che così la battezzarono.
In passato i modi per trascorrere il tempo che separava il calar
del sole e il momento del riposo non contemplavano Netflix e Sky, ma si
era soliti trovarsi con la famiglia intorno al focolare. Un momento per
condividere antichi saperi e, talvolta, vecchie leggende. Fu così che
vennero trasmesse, di generazione in generazione, antiche storie intorno
all’origine del monte di forma trapezoidale che si erge tra le valli
Vermenagna e Pesio.
Molte delle favole che girano intorno alla Bisalta (o Besimauda)
sono legate alla forma bifida e a strani esseri che hanno ispirato molti
racconti nelle nostre valli: le masche e i sarvanot.
A dire il vero la fervida fantasia dei cuneesi non si è arrestata
con il passare del tempo. A contribuire alle nuove storie la
radioattività dell’area, in quanto nelle viscere della terra è presente
il gas radon e soprattutto l’uranio. Nel primo dopoguerra la particolare
composizione del terreno attirò addirittura l’attenzione della
scienziata polacca Marie Curie, premio nobel per la Fisica e per la
Chimica, mentre negli anni successivi venne aperta una miniera di
estrazione, attiva fino all’inizio degli anni ’60. Mentre molti degli
operai impiegati morivano per patologie legate all’esposizione al
materiale radioattivo, tra la gente si diffondevano nuove dicerie, per
esempio che la punta fosse doppia a causa dell’impatto con un Ufo e che
questo causò la variazione del terreno.
Un’altra verità piuttosto diffusa in zona, questa volta fattuale, è
che le rocce del monte abbiano tendenza ad attirare fulmini e che
durante i temporali estivi sia piuttosto pericoloso transitare sul
crinale.
Il 3 luglio del 1960 quello che fino ad allora era un luogo comune
entrò tragicamente nelle pagine della cronaca. Un gruppo di fedeli salì
in pellegrinaggio in vetta al Bric Costa Rossa per assistere
all’installazione di una piccola statua della Madonna in una nicchia
posta nel pilastro che sostiene la croce metallica. Subito dopo la
celebrazione della funzione religiosa da parte del vescovo di Cuneo,
monsignor Guido Tonetti, l’improvviso peggioramento del tempo provocò
una strage. Un fulmine si scaricò sulla croce, lasciando a terra quattro
vittime e una ventina di feriti. A perdere la vita anche una bambina,
Claudia Serra, di 10 anni, oltre a Giuseppe Vezzetti, 29 anni, e due
chierici della Consolata, Sergio Andreoli di 22 anni, e Enrico Canal di
25.
Bis alta, vale a dire due volte alta, è l’etimologia del toponimo,
tramandata di padre in figlio. Secondo un racconto tradizionale (ufo a
parte) non è sempre stato così, ma c’è stato un tempo in cui il monte
aveva un’unica grande punta. Certamente non racconteremo nulla di nuovo
alla gran parte dei nostri lettori, ma lo riportiamo per i più giovani o
per i forestieri che non avessero contezza di questa storia.
Si racconta che un giorno un contadino di San Giacomo si recò al
mercato di Boves per vendere del formaggio. L’uomo fece buoni affari e
soddisfatto per l’incasso della giornata, decise di far tappa
all’osteria prima di incamminarsi verso casa, in onor del detto “Non ti
mettere in cammino, se la bocca non sa di vino”. Si sa, un bicchiere
tira l’altro e il formaggiaio si ritrovò presto ebbro, ma dovette
comunque intraprendere la via del ritorno. Sulla strada era calata
l’oscurità in quanto la punta della Bisalta oscurava la luna piena.
L’uomo avanzava insicuro, senza vedere dove poggiava i piedi. Cadde più
volte, un po’ per il buio un po’ per la sbronza. All’ennesimo scivolone
l’uomo inizio a imprecare e rivolto alla montagna esclamò: “Venderei
l’anima al diavolo pur di farti sprofondare la punta”.
In un battibaleno si palesò dinnanzi a lui Satana in persona. Il
popolano strabuzzò gli occhi, incerto se quell’essere fosse realmente il
demonio o soltanto il frutto del troppo alcol tracannato. Rivolgendo lo
sguardo verso la Besimauda si chiarì le idee, la sbornia gli era
passata in un sol momento: un gruppo di diavoli, armato di pale e
picconi, stava demolendo la vetta del monte. In breve tempo, mentre
grandi massi rotolavano verso la pianura, la montagna acquisì il profilo
che noi tutti conosciamo, con la parte centrale più bassa e le due
punte alle estremità.
A quel punto Belzebù, che non proferì parola secondo la
consuetudine del silenzio-assenso, gli porse carta e penna e lo invitò
con la mano a firmare il contratto per formalizzare l’accordo
(evidentemente secondo il diritto infernale è necessaria la forma
scritta affinché il contratto di cessione dell’anima sia valido).
L’uomo, con la mano tremolante, prese in mano la penna e cominciò a
scrivere nell’unico modo che conosceva.
Una volta ritirato il foglio e buttatovi lo sguardo il Diavolo
trasalì: il contadino, che si era rivelato analfabeta, nello spazio
della firma aveva tracciato una croce. Quel simbolo, per lui nefasto, lo
fece tornare all’Inferno con tutti i suoi demoni: la terra si aprì e li
inghiottì.
Il buon uomo ci mise un momento per riprendersi dall’esperienza
trascendentale, ma una volta capito che poteva mettersi in cammino con
la strada illuminata dalla luna s’incamminò di buona lena verso casa.
Durante il tragitto ripensò a quanto accaduto e sulla sua bocca
comparve un sorriso: per una casualità la sua ignoranza l’aveva salvato
dalle pene dell’inferno, ma promise comunque a se stesso di non cadere
più nelle tentazioni delle cose terrene. Mentre nel cielo la luna
sembrava quasi sorridere incastonata tra le due punte della Bisalta.
Samuele Mattio
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