Il ricercatore italiano nella base Concordia dove per tre mesi è buio totale: «È uno dei posti più freddi e inospitali del pianeta, è come stare su Marte. Ma lo rifarei»
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Tre mesi l’anno, per 97 giorni di
fila, sul promontorio Dome-C dell’Altopiano Antartico, il buio è totale.
È uno dei posti più freddi e inospitali del pianeta: una distesa
infinita di ghiacci dove gli esseri umani più vicini stanno a 600
chilometri di distanza, l’aria è secca, l’ossigeno carente e le
temperature sotto i - 80 gradi centigradi. Forme di vita, non ce ne
sono. Tutto è statico, bianco, piatto... come in un pianeta
extraterrestre. «Qui ci stanno solo gli scienziati delle stazioni di
ricerca, come Concordia, la base italo-francese gestita dall’Enea
(l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo
economico) e dall’Ipev (Institut Polaire Paul-Emile Victor)». Marco
Buttu, ingegnere elettrotecnico sardo responsabile del software di
controllo del Sardinia Radio Telescope, il più grande radiotelescopio
d’Italia, ci ha vissuto tredici mesi, da novembre 2017 a dicembre 2018,
come responsabile del laboratorio di astronomia. Il suo diario di bordo:
«Marte bianco. Nel cuore dell’Antartide. Un anno ai confini della vita»
(Edizioni Lswr), è appena uscito in libreria. Racconta la sua
esperienza di vita nella zona più estrema della Terra.
Da Gavoi, in Barbagia, alla base Concordia, in Antartide, l’unico Continente riservato interamente alla scienza. Come è andata?
«È stato un caso. Un collega mi ha detto che cercavano ricercatori e così ho mandato il curriculum. Due giorni dopo mi avevano già contattato per due settimane di training tra Italia e Francia. Denise, la psicologa dell’Enea, seguiva ogni spostamento di noi futuri winterover, tredici “avventurieri” — sette italiani, cinque francesi e un’austriaca — che in Antartide avrebbero dovuto compiere ricerche di glaciologia, chimica e fisica dell’atmosfera, astrofisica, astronomia e geofisica. La permanenza prolungata in ambienti estremi causa problemi fisici, ma gestire i rapporti interpersonali è l’aspetto più duro. Ci vuole una grande stabilità psicologica».
«È stato un caso. Un collega mi ha detto che cercavano ricercatori e così ho mandato il curriculum. Due giorni dopo mi avevano già contattato per due settimane di training tra Italia e Francia. Denise, la psicologa dell’Enea, seguiva ogni spostamento di noi futuri winterover, tredici “avventurieri” — sette italiani, cinque francesi e un’austriaca — che in Antartide avrebbero dovuto compiere ricerche di glaciologia, chimica e fisica dell’atmosfera, astrofisica, astronomia e geofisica. La permanenza prolungata in ambienti estremi causa problemi fisici, ma gestire i rapporti interpersonali è l’aspetto più duro. Ci vuole una grande stabilità psicologica».
Con quale stato d’animo è partito?
«Ero un po’ frastornato. Facevo fatica a capire se stavo sognando, anche perché non sapevo nulla dell’Altopiano Antartico. Ho scoperto che più del 90% dei ricercatori, circa mille persone, stanno sulla costa perché le condizioni dell’Altopiano sono veramente estreme. Non scorderò mai l’arrivo alla base. Dopo quattro ore di volo e 1.100 chilometri di ghiaccio è comparso un puntino: la base Concordia. Solo allora ho capito quanto sarei stato isolato».
«Ero un po’ frastornato. Facevo fatica a capire se stavo sognando, anche perché non sapevo nulla dell’Altopiano Antartico. Ho scoperto che più del 90% dei ricercatori, circa mille persone, stanno sulla costa perché le condizioni dell’Altopiano sono veramente estreme. Non scorderò mai l’arrivo alla base. Dopo quattro ore di volo e 1.100 chilometri di ghiaccio è comparso un puntino: la base Concordia. Solo allora ho capito quanto sarei stato isolato».
Non ha avuto paura?
«No, anche perché mia moglie Micky mi ha sempre sostenuto; per fortuna al Concordia riuscivo a sentirla regolarmente via satellite. Fisicamente, invece, mi ha aiutato lo yoga. La quantità ridotta di ossigeno provoca deficit di memoria e ripetute apnee notturne. Ogni giorno, per un’ora e mezza, praticavo respirazione controllata e posizioni invertite, che aiutano l’afflusso del sangue alla testa. Il cibo? Prima di consumare quello fresco, che arriva solo nel periodo estivo, bisogna smaltire quello rimasto. Io ho mangiato uova scadute da sei mesi, ma non è successo niente perché l’aria in Antartide è estremamente secca e riescono a conservarsi a lungo. Insomma, si vive in condizioni fuori dall’ordinario. Per questo siamo stati oggetto di studio da parte di un medico dell’Agenzia spaziale europea. Per capire come il corpo si adatta ad ambienti “extraterrestri” e pianificare una futura missione su Marte».
«No, anche perché mia moglie Micky mi ha sempre sostenuto; per fortuna al Concordia riuscivo a sentirla regolarmente via satellite. Fisicamente, invece, mi ha aiutato lo yoga. La quantità ridotta di ossigeno provoca deficit di memoria e ripetute apnee notturne. Ogni giorno, per un’ora e mezza, praticavo respirazione controllata e posizioni invertite, che aiutano l’afflusso del sangue alla testa. Il cibo? Prima di consumare quello fresco, che arriva solo nel periodo estivo, bisogna smaltire quello rimasto. Io ho mangiato uova scadute da sei mesi, ma non è successo niente perché l’aria in Antartide è estremamente secca e riescono a conservarsi a lungo. Insomma, si vive in condizioni fuori dall’ordinario. Per questo siamo stati oggetto di studio da parte di un medico dell’Agenzia spaziale europea. Per capire come il corpo si adatta ad ambienti “extraterrestri” e pianificare una futura missione su Marte».
Irraggiungibile per i nove mesi dell’inverno artico. Al buio per tre. Ci vuole coraggio.
«Ho rivisto la luce l’11 agosto, alle 11.30, per pochi, intensissimi, minuti. È stato come se il mondo fosse tornato a colori. Se penso a quante occasioni perse, quanti sogni rimasti tali, quanta resistenza al cambiamento e quanti ostacoli poniamo al progresso collettivo e personale per la mancanza di coraggio... Rifarei tutto. Le distanze ora mi sembrano piccolissime. Chissà, forse un giorno riuscirò a vedere pure la Luna».
«Ho rivisto la luce l’11 agosto, alle 11.30, per pochi, intensissimi, minuti. È stato come se il mondo fosse tornato a colori. Se penso a quante occasioni perse, quanti sogni rimasti tali, quanta resistenza al cambiamento e quanti ostacoli poniamo al progresso collettivo e personale per la mancanza di coraggio... Rifarei tutto. Le distanze ora mi sembrano piccolissime. Chissà, forse un giorno riuscirò a vedere pure la Luna».
Carlotta Lombardo
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