Uno studio dell’Università di Southampton indaga su cosa succede quando
il cuore smette di battere per indagare sul livello di consapevolezza
delle persone clinicamente decedute. Gli scienziati britannici hanno
analizzato 2mila casi di arresto cardiaco: il 40% dei sopravvissuti
avevano "ricordi" nei minuti in cui erano clinicamente morti
La possibilità che la vita si estenda oltre l’ultimo respiro è una
materia che è stata trattata ampiamente, spesso giudicata con aperto
scetticismo.
Le esperienze riportate dalle persone così fortunate da poterle
raccontare sono state generalmente etichettate come allucinazioni dovute
alla grave condizione psicofisica.
È di questi giorni però la pubblicazione di uno studio inglese che comproverebbe il mantenimento di un certo grado di coscienza da parte di persone in arresto cardiaco.
L’Università di Southampton, infatti, ha affrontato in modo
scientifico la possibilità scoprendo che una qualche forma di
“consapevolezza” può continuare anche dopo che il cervello ha cessato di
funzionare del tutto.
Come scrive il Corriere.it,
per quattro anni i ricercatori della Southampton University hanno
esaminato i casi di 2.060 persone, tutte vittime di arresto cardiaco, in
15 ospedali sparsi tra la Gran Bretagna, gli Stati Uniti e l’Austria.
Secondo i dati in possesso degli studiosi inglesi, circa il 40 per
cento dei sopravvissuti ha descritto esperienze coscienti provate mentre
il loro cuore aveva smesso di battere. In cifre, dei 330 scampati alla
morte 140 hanno raccontato di essere rimasti parzialmente coscienti
durante la rianimazione.
Singolare il caso di un assistente sociale cinquantasettenne di
Southampton che ha raccontato di avere lasciato il proprio corpo e di
avere assistito alle procedure di rianimazione dello staff medico da un
angolo della stanza nella quale era ricoverato.
L’uomo, benché il suo cuore si fosse fermato per tre minuti, ha
raccontato nei dettagli le azioni dei medici e degli infermieri e ha
ricordato anche i suoni delle apparecchiature mediche. Il particolare
che ha attirato l’attenzione dei ricercatori è stato che l’uomo
ricordava i beep emessi da un particolare apparecchio, programmato per
emettere segnali sonori ogni tre minuti.
«Quell’uomo ha descritto tutto quello che è avvenuto in quella
stanza, ma la cosa più importante è che si è ricordato di aver udito due
beep. Questo ci permette di comprendere quanto è durata la sua
esperienza», ha dichiarato Sam Parnia, direttore della ricerca.
Le altre testimonianze tendono a essere piuttosto uniformi nel loro
contenuto. Un paziente su cinque ha sperimentato un inusuale senso di
pace e circa un terzo dei 330 sopravvissuti ha assistito a un
rallentamento o a una accelerazione del tempo.
Alcuni hanno rammentato una forte luce simile a un flash o a un sole
splendente, mentre altri hanno raccontato di una sensazione di paura di
affogare e venire trascinati in acque profonde. Infine, il 13 per cento
di coloro che sono stati rianimati ha ricordato delle esperienze
extracorporee e un aumento delle percezioni sensoriali.
I risultati sono stati pubblicati anche sul giornale Resuscitation ed è una delle prime volte che un’università pubblica effettua uno studio di questo tipo.
Sam Parnia è uno specialista in anestesia e rianimazione, attualmente
primario del reparto di Terapia intensiva e direttore del dipartimento
di ricerca sulla Rianimazione presso la Scuola di Medicina della Stony
Brook University di New York. È considerato uno dei massimi esperti
mondiali nel campo della morte, del rapporto mente-cervello e delle esperienze ai confini della morte.
Dal 2008 Parnia fa parte del progetto AWARE, uno studio
internazionale promosso da Human Consciousness Project al quale hanno
aderito venticinque ospedali tra Europa e Nord America. Lo scopo del
progetto è quello di verificare se le percezioni riportate da pazienti
che hanno superato un arresto cardiaco possono essere provate.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento